Il preside di liceo: arrivano impreparati, rivediamo le basi
ROMA - «Questo risultato conferma una tendenza che va avanti da parecchi anni. Bisognerebbe vedere meglio di che si tratta, quali sono le differenze rispetto alle indagini precedenti. Resta il fatto che in queste comparazioni sulla matematica siamo sempre indietro». Non si stupisce delle prestazioni deludenti dei nostri quindicenni Luigi Gennari, preside del «Righi», uno dei più prestigiosi licei scientifici romani. Professore, provi a indicare una causa .
«Non è semplice dare una risposta. Posso dire che nel mio istituto, ma anche negli altri, da sempre le discipline in cui i ragazzi incontrano maggiori difficoltà sono le solite tre: matematica, latino e lingua straniera (queste ultime due escluse dall’indagine ndr ). Ogni scuola adotta dei provvedimenti come i corsi di recupero per offrire un sostegno agli studenti che mostrano lacune. Credo però che il problema non possa essere risolto scuola per scuola. Occorrerebbe riflettere su questi dati e cercare di capire come mai in matematica, una delle materie formative di grande importanza, abbiamo questi risultati».
Può dipendere dai programmi?
«Nell o scientifico c’è una grande attenzione per questa disciplina, alla quale viene riservato il maggior numero di ore. Vedo che esiste una difficoltà, come dire, di carattere iniziale. Quando i ragazzi arrivano alle superiori i ritardi si sono ormai stratificati».
Mancano delle buone basi?
«Superiamo il solito discorso del "la colpa è della scuola che precede". Le scuole funzionano, i professori sono persone serie e preparate. Quello che manca è una riflessione. Questi dati dovrebbero indurci a discutere tutti insieme sul perché accadono certe cose. Secondo me occorrerebbe mettere insieme un certo numero di scuole dalle elementari alle superiori, per fare uno studio di caso: ne basterebbero 5 o 6 per ciascun ordine di studi. Non possiamo limitarci a prendere atto ogni anno dei risultati negativi. E’ come se una persona si limitasse a constatare che sta male invece di chiamare il medico».
G. Ben.
Corriere della Sera
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