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AMREF
UN ORGANIZZAZIONE PER L'AFRICA FATTA DI UOMINI E DONNE AFRICANE


AMREF è la principale organizzazione sanitaria privata, senza fini di lucro, basata in Africa. Con uno staff tecnico multidisciplinare, per il 95% composto da professionisti africani e che comprende medici ed esperti sanitari, oltre a sociologi, ingegneri, gestisce ogni anno centinaia di progetti di sviluppo in 14 Paesi dell'Africa orientale: dal Kenya all'Uganda dal Sudan al Sudafrica

In quasi 50 anni di attività AMREF ha soccorso, vaccinato, curato, operato, e istruito milioni di persone. Il braccio operativo più noto è ancora oggi il servizio dei Flying Doctors, che porta regolare assistenza specialistica e chirurgica, attrezzature e farmaci alle zone più sperdute. A terra AMREF è presente con numerosi Centri Sanitari e con Unità Mobili di chirurgia, prevenzione, vaccinazione e oculistica, in grado di fornire assistenza medica alle popolazioni rurali e nomadi.

L' obiettivo di AMREF è quello di favorire lo sviluppo sanitario e sociale delle popolazioni più povere attraverso il loro coinvolgimento attivo. L’identità africana dell’organizzazione è essenziale per trovare soluzioni africane a problemi africani.

AMREF Italia nasce nel 1988 come associazione senza fini di lucro. Dal gennaio 1998 AMREF rientra nella categoria delle ONLUS (Organizzazioni Non Lucrative di Utilità Sociale) ed ha ottenuto dal Ministero degli Affari Esteri il riconoscimento di ONG (Organizzazione Non Governativa) idonea.
Oltre l’80% dei fondi raccolti dall’Organizzazione provengono dal sostegno di circa 45.000 donatori, da manifestazioni e da collaborazioni con aziende selezionate. Nel 1998 è nata la prima collaborazione con l’Unione Europea, per il finanziamento di un progetto di formazione di personale sanitario nel Sudan Meridionale.

18/09/2004 10:32
 
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AMREF E LA LOTTA ALL’AIDS


Ogni giorno, attraversando le baraccopoli di Nairobi alla ricerca di bambini di strada, mi imbatto in nuovi orfani dell’AIDS. Bambini senza prospettiva, spesso con la responsabilità dei fratelli minori, e senza possibilità di migliorare il proprio futuro andando a scuola: ma il loro futuro è il futuro dell’Africa. Tutti noi impegnati per lo sviluppo dell’Africa dobbiamo combattere insieme contro la minaccia AIDS, ciascuno nel proprio settore, con le proprie competenze”. A parlare è John Muiruri, responsabile del progetto di AMREF per i bambini di strada del sobborgo di Dagoretti (Nairobi). Queste parole tracciano solo un particolare di un ritratto più ampio dell’Africa subsahariana, dove AMREF opera, in cui la diffusione dell’epidemia di AIDS è strettamente legata alla povertà, al contesto sociale, a pratiche tradizionali pericolose ed alle terribili condizioni ambientali ed igienico-sanitarie in cui gran parte della popolazione è costretta a vivere. In tutti i suoi progetti AMREF cerca di contrastare cause ed effetti dell’epidemia di AIDS coinvolgendo le comunità e, in primo luogo, le persone colpite dal virus Hiv. Il ruolo attivo dei sieropositivi nella lotta all’AIDS è infatti importante sia per convincere gli altri ammalati a sottoporsi ai test e alle terapie, sia per sconfiggere la discriminazione che accompagna i contagiati dal virus Hiv.

Contro l’AIDS nelle scuole

Le scuole africane risentono moltissimo dell’impatto che l’AIDS ha sulla vita delle famiglie: alcuni studenti sono malati, e spesso, a causa dell’omertà e della vergogna che circonda la malattia, ce ne accorgiamo solo quando è troppo tardi per frenare il decorso della malattia”. Sono le parole di Margaret Mwiti, responsabile del Progetto Scuole di AMREF sulla costa del Kenya. Le scuole sono la prima linea di quella che Nelson Mandela ha definito come una vera e propria guerra all’AIDS. Una guerra in favore dei bambini malati, ma anche dei tantissimi alunni sani ma orfani dell’AIDS, o figli di genitori infetti: ciò si traduce in una grande povertà che ricade sulle spalle dei piccoli, in un alto tasso di assenteismo ed in uno scarso rendimento in classe. “Ma le scuole ­ ci racconta Joseph, giovane preside di una scuola elementare di Malindi, con cui AMREF collabora - sono la prima linea anche perché dalle scuole può partire la riscossa del Kenya e di tutta l’Africa”. L’esperienza di AMREF insegna che i bambini sono eccellenti diffusori di conoscenze nella comunità. L’educazione sanitaria degli alunni costituisce il primo passo per combattere l’AIDS. Nelle scuole dei Distretti di Kilifi e Malindi con cui collabora, AMREF ha avviato diverse iniziative contro l’AIDS, tra le quali i clubs della salute, piccoli comitati di studenti che, sotto la guida di un insegnante, affrontano temi legati alla salute e alla prevenzione delle malattie più diffuse, in primo luogo l’AIDS, e corsi di formazione igienico-sanitaria rivolti agli insegnanti. “Ma non sono solo i bambini ­ dice Margaret - a beneficiare di queste attività di prevenzione: fuori dalla scuola gli alunni si faranno portavoce, in famiglia e nelle comunità, delle conoscenze di base per evitare il contagio. Ogni anno ­ continua Margaret - organizziamo lo School open day, una giornata speciale dedicata alla prevenzione dell’AIDS. Durante l’anno scolastico i bambini preparano poesie, canzoni, spettacoli teatrali e poster per sensibilizzare gli abitanti della zona, le autorità locali, e chi frequenta le scuole vicine.

Contro l’AIDS nelle baraccopoli

Molti bambini però, sia nelle zone rurali sia nel degrado delle baraccopoli, proprio a causa dell’AIDS a scuola non ci possono andare. E’ questo il caso di un gruppo di venti piccoli abitanti di Dagoretti che, nel 2003, l’AIDS ha reso orfani e privi di cure. “Con il mio staff ­ racconta John Muiruri ­ abbiamo svolto corsi per sensibilizzare tutta la comunità sul problema AIDS e ed abbiamo formato alcuni membri affinchè si prendano cura degli orfani e li aiutino a frequentare la scuola. A tutti i bambini che frequentano il centro di AMREF, poi, forniamo corsi di educazione sanitaria e sessuale per prevenire il contagio”. Ma l’AIDS, nelle baraccopoli africane, è il marchio che segna anche il destino di moltissime giovani donne, che trovano nella prostituzione l’unica possibilità di sopravvivenza, aumentando così il rischio di contrarre il virus Hiv. Nella baraccopoli di Makarere 3 a Kampala (Uganda), è attivo un progetto, sostenuto da AMREF Italia, rivolto in particolar modo alle prostitute e coordinato da Joyce Kintu, infermiera impegnata da quindici anni nel campo della prevenzione dell’AIDS. “Nel nostro centro ­ racconta “mama Joyce” ­ invitiamo la comunità ad effettuare il test volontario del’Hiv: conoscere il proprio status è il primo passo per combattere quello che chiamiamo “lo stigma”, la discriminazione dei sieropositivi, una delle principali cause di diffusione dell’epidemia. Poi, dopo il test, forniamo assistenza psicologica ai sieropositivi. Sai ­ aggiunge ­ molti sieropositivi reagiscono duramente, pensano di suicidarsi, non sanno come ritornare a casa. Ai malati più gravi diamo anche soccorso a domicilio”. Lo staff di AMREF a Makerere 3 ha inoltre avviato uno speciale programma per il recupero delle prostitute, attraverso la promozione di lavori alternativi (sartoria, artigianato…) che consentano loro di allontanarsi dalla strada, e la diffusione di conoscenze per la prevenzione del contagio.

Contro l’AIDS in zona di guerra

Dove infuriano i conflitti dimenticati dell’Africa, l’AIDS, come la povertà, la mancanza d’acqua pulita, la fame, può diventare uno strumento di guerra, un’arma per ferire ancora più duramente la popolazione civile. Nel Distretto di Gulu, Nord Uganda, la guerra civile tra le milizie ribelli del Lord’s Resistance Army e l’esercito governativo, costringe molti bambini dei villaggi a trascorrere la notte nella città di Gulu, in luoghi di fortuna come le stazioni degli autobus o i cortili delle chiese, lontani dalle famiglie ma al riparo dalle violenze e dai reclutamenti degli spietati ribelli. Tra i maggiori pericoli cui incorrono i cosiddetti “pendolari notturni” di Gulu, il contagio da virus Hiv provocato dalla promiscuità sessuale e da frequenti episodi di violenza. “Ci siamo trovati di fornte a questo fenomeno incredibile ­ spiega james Eyul, coordinatore dello staff di AMREF Gulu ­ che mese dopo mese assume proporzioni sempre più allarmanti: colonne di bambini impauriti, con un sacchettino per il cambio in mano, i più piccoli a mano dei fratellini più grandi, che al tramonto abbandonano il riparo materno e vengono qui, in città. Abbiamo scelto di agire ­ continua James -formando assistenti sociali ed operatori sanitari, che svolgono diverse attività di prevenzione dell’AIDS: separano i maschi dalle femmine nei luoghi in cui trascorrono la notte, tengono corsi di educazione sanitaria e sessuale, sensibilizzano le famiglie sui pericoli cui i piccoli si espongono e realizzano nei luoghi di pernottamento filmati didattici e piccoli spettacoli che sensibilizzano sul pericolo AIDS.

Acqua contro l’AIDS

Ma combattere l’AIDS, ci spiega poi James, è anche uno degli obiettivi degli altri interventi da noi realizzati a Gulu, nei campi profughi dove si raccolgono i contadini Acholi in fuga dalla guerra. Nei campi di Gulu, così come in Kenya, negli aridi distretti di Kitui e Kajado, ed in Tanzania, AMREF porta l’acqua attraverso la costruzione di pozzi ed acquedotti e la protezione di sorgenti. Tutti i progetti idrici prevedono la costituzione di comitati di gestione delle fonti d’acqua e delle attività economiche ad esse collegate, comitati composti almeno per la metà da donne. “Ciò singifica ­ dice ancora James - rafforzare il potere decisionale delle prime vittime del’AIDS: le donne acquisiscono un ruolo in famiglia e nella comunità, e sono inoltre formate anche rispetto al pericolo AIDS. Questo consente loro di sottrarsi a rapporti sessuali non desiderati o non protetti, ed a pratiche tradizionali che, ad esempio, costringono le vedove ad essere ereditate dal fratello del marito defunto o, peggio ancora, ad essere “ripulite” facendo l’amore con un uomo, “il pulitore” appunto. Questi signori chiamati “pulitori”, svolgendo questo “mestiere” regolarmente, infettano ogni anno centinaia di donne. Rafforzare la consapevolezza e il potere decisionale delle donne ­ conclude James - diminuisce dunque la loro vulnerabilià al contagio”.



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