Ben Vanderfort, 22 anni, di San Francisco
ha messo in scena l'esecuzione aiutato da due amici
"Un altro ostaggio decapitato"
ma il video è solo una beffa
Così un giovane impiegato ha spaventato il mondo
dal nostro inviato VITTORIO ZUCCONI
Il falso video
WASHINGTON - Al numero 1510 di Eddy Street a San Francisco abita l'uomo che è stato decapitato in tv, ma continua a vivere. Il suo nome è Benjamin Vanderford, ha 22 anni, la sua professione è incerta, la sua ambizione è un posto di consigliere comunale con un programma di "libero software in libero stato", ma per milioni di telespettatori arabi e per gli sfortunati italiani che ieri all'ora di colazione hanno guardato i telegiornali Ben è stato sgozzato in Iraq, un'altra vittima dell'efferato al-Zarqawi.
Nella realtà, se ancora esiste una realtà non televisiva, Ben sta benissimo e le vittime sono coloro che lo hanno visto fingere la propria esecuzione, in un video di 55 secondi, esempio terrificante di come sia facile, per chiunque possieda una videocamera, un computer, un sito internet e magari sappia scrivere in arabo, bucare i monitor e rivoltare l'informazione contro sé stessa, approfittando della paranoia da terrorismo. Per poche ore il macabro scherzo è riuscito a beffare l'intero sistema dell'informazione (agenzie di stampa, tv, siti internet dei giornali) ed è diventato "realtà".
Alla fine è bastato un colpo di telefono dell'Associated Press allo stesso Benjamin, che è nell'elenco di San Francisco e nel video fornisce addirittura il proprio recapito, per scoprire, dalla sua stessa voce, che il decapitato era vivo e non si era mai mosso dalla California. Ma per oltre tre ore hanno vinto l'ansia della notizia, il suo rilievo, la fretta del mondo dei media, e l'atroce beffa ha superato il muro di tutti i controlli. I principali telegiornali italiani l'hanno preso per buono e hanno ravvivato i pranzi di mezza estate ai telespettatori in vacanza. Le tv arabe, prima al-Arabya e poi al-Jazeera online, l'hanno diffuso, come diffusero la falsa notizia di un'altra decapitazione, quella del sergente dei Marines di origine libanese. Soltanto negli Stati Uniti, dove la pioggia quotidiana di allarmi di sapore elettorale comincia a produrre gli anticorpi dello scetticismo, qualcuno si è insospettito.
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Il finto video, Ben lo aveva immesso in rete da un paio di mesi e lo aveva quasi dimenticato. Sorpreso dai cronisti ha cercato di dare una spiegazione sociologica alla cosa: "L'ho fatto per attirare l'attenzione ma soprattutto per dimostrare come sia facile falsificare certi comunicati. So che può sembrare irriguardoso per le vittime vere ma credo che il mio sia un messaggio utile".
Abbiamo ormai, purtroppo, una certa esperienza in materia di "video dell'orrore", come sono annunciati con la finta compunzione dalle emittenti che fanno a gara per mostrarceli, e dopo lo sgozzamento di Nick Berg, il primo, poi dell'interprete coreano Kim Sun-Il, del Bulgaro Georgy Lazov, la scenografia e la sceneggiatura di questi macabri - e ghiotti - reality show ci sono familiari. Quando al-Arabya ha mandato in onda il filmato, i primi siti americani a dare la notizia, e quelli della Associated Press, hanno subito avuto qualche dubbio. Benjamin Vanderford ha un proprio sito internet, per farsi campagna elettorale, e mai, in quel sito, aveva raccontato di avere lasciato San Francisco e di essere andato in Iraq, un evento che sicuramente avrebbe pubblicizzato. La scena "da raccapriccio" non lo mostra vestito nella tuta arancione da carcerato come altri ostaggi uccisi, ma in T-shirt e nella inquadratura mancano i soliti "militanti" mascherati e armati di AK47 che fanno da coro alle esecuzioni. Si sentono versi del Corano recitati nel background, per dare credibilità al rituale jihadista, e mentre Benjamin mormora frasi sulla necessità di "andarsene dall'Iraq", "altrimenti faremo tutti la stessa fine", l'inquadratura è intervallata da un montaggio di sequenze di guerra e di civili iracheni sfigurati dalle bombe. Poi, i fotogrammi culminanti, il money shot, la scena pagante. Il giovane gettato a terra. Il coltellaccio, simile a quello usato per decapitare Nick Berg, che gli aggredisce la gola, i fiotti di sangue che cominciano a sgorgare. Mancano i titoli di coda, ma non quelli di testa. Il video ha un titolo classico e di sicuro effetto: "Abu Musab al-Zarqawi macella un americano". Accantonata la imbarazzante stella nera di Osama Bin Laden, almeno in attesa di una sua consegna in tempo per le presidenziali americane, oggi è il giordano al-Zarqawi quello al quale viene attribuita ogni nefandezza.
Dunque, poiché nulla è più credibile, in questa guerra dove neppure più la morte è vera, dopo gli arsenali di Saddam e il goffo trasferimento di sovranità limitata, tutto è implicitamente credibile. Lo sapeva benissimo anche "la vittima", che ha confessato alla Associated Press di avere girato tutto lo show a San Francisco, con un paio di amici, nei classici garage un tempo riservati alle meno cruente esibizioni di pornografia amatoriale, con materiale di repertorio registrato dai network e vescichette di sangue finto cinematografico. Al resto ha provveduto un collegamento Internet a banda larga per la rapida trasmissione del video a reti tv arabe, ansiose quanto quelle europee di raccogliere e rilanciare ogni spazzatura, per ragioni ideologiche opposte, ma con l'eguale intento di spaventare, mobilitare e agitare il proprio pubblico. L'esibizione della crudeltà disumana del "terrorista" o del "resistente" corrisponde in maniera perfettamente ambigua alle intenzioni opposte di chi vuole stimolare l'opposizione alla guerra e di chi vuole rafforzare lo sdegno e l'odio per il macellaio "islamico"della Jihad da macelleria. Ogni annuncio di avvenuta o di possibile strage viene preso sul serio, perché il dubbio e il sospetto che sia fondato non concede il lusso dello scetticismo.
(8 agosto 2004)
la verità ti rende libero
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