«Sei tu che mi licenzi ma non finisce qui»
Di fronte a una crisi al buio, all’uscita di un partito dal governo, io preferisco sacrificare un ministro. Giulio, c’è un problema di incompatibilità tra te e Gianfranco, a questo punto sono io a chiedere le tue dimissioni»: le parole di Silvio Berlusconi, al vertice della Casa delle Libertà, giungono - non inaspettate - a certificare il fatto che per Giulio Tremonti è finita. Arrivano dopo due ore di polemiche, insulti e qualche parolaccia. E precedono l’ultimo violento scontro, quello tra il presidente del Consiglio e il ministro sacrificale (e sacrificato). «Bene, Silvio, siccome sei tu che mi licenzi e non io che mi dimetto, voglio da te una lettera formale e protocollata cui risponderò, eppoi voglio parlare con Ciampi. Non finisce qui», quasi grida Tremonti in faccia al premier. Ma di urla è costellata tutta la riunione. Che comincia subito malissimo.
Il ministro (non ancora ex) dell’Economia sale in cattedra a dare una lezione a Fini che nel pomeriggio ha contestato i suoi conti, definendoli «falsi e truccati». «Si è trattato di un errore tecnico e solo chi non capisce niente di economia può dire che sono numeri falsi». Il vicepremier scatta, livido in volto. «Se io non capisco niente di economia tu non capisci un c...di politica». La lite tra i due continua. Nessuno difende Tremonti in quella stanza. Solo Gianni De Michelis spende qualche parola. Ma non il leghista Roberto Calderoli. Intanto Fini, vestiti i panni dell’inquisitore continua con il suo atto d’accusa. «C’è un problema - dice il leader di An sillabando le parole - di incompatibilità. O si dimette Tremonti o mi dimetto io. Qui c’è una persona che deve avere una lezione».
Ma Tremonti fa resistenza, mentre Berlusconi nicchia. «Si è fatto tardi, lasciatemici pensare, devo decidere...», mormora il premier. Ma Fini non molla la presa. Anche Marco Follini, che pure avrebbe voluto evitare un’accelerazione così traumatica di tutta la vicenda, è dell’idea che occorra ormai decidere in fretta. Lui lo ha già fatto. «Tra un partito, una linea politica o un singolo ministro, io scelgo un partito, mi dispiace...». Berlusconi prende da una parte prima l’uno, poi l’altro dei contendenti, infine pronuncia il verdetto di condanna del ministro dell’Economia. E ora? In questo fine settimana il premier tenterà di convincere Mario Monti a prendere la poltrona lasciata vuota da Tremonti. Altrimenti non resta che Letizia Moratti. E altri aggiustamenti? Si vocifera di un’offerta a Follini (rifiutata) della vicepresidenza del Consiglio e e di una - il ministero degli Esteri - a Fini.
Il vicepremier esce soddisfatto da Palazzo Grazioli. «Silvio ha mantenuto la promessa», dice ai suoi. E infatti qualche ora prima Berlusconi gli aveva fatto capire di essere ormai disposto a cedere. «Dai Gianfranco, lo sai che voglio più bene a te che a Tremonti e te lo dimostrerò stasera», era stato il saluto con cui si era lasciato con Fini che gli aveva annunciato: «Mi dimetto e con me si dimettono tutti i ministri di An». Si è giunti così non all’atto finale (perché di questi tempi, con quel che accade quotidianamente nella Casa delle Libertà è meglio andar cauti), ma comunque all’epilogo di un braccio di ferro estenuante che dura da mesi e mesi. Da un lato Berlusconi. Dall’altro, An e Udc - tra cui non c’è quest’asse di ferro di cui tanto si parla - e che però sono unite da convergenze, per così dire, forzate, perché sia Fini sia Follini sanno che divisi soccomberebbero al Cavaliere.
Il quale Cavaliere esce da questa vicenda fortemente ridimensionato, anche se continua a spiegare convinto agli alleati riottosi, ha «ricevuto il mandato per governare il Paese per cinque anni da milioni di elettori». Il presidente del Consiglio, però, era ormai stretto all’angolo. Fini ha insistito talmente tanto che i suoi avversari accreditano la versione secondo cui avrebbe dietro di sé addirittura il governatore di Bankitalia Antonio Fazio. Dunque, per Berlusconi, il male minore sono le dimissioni di Tremonti, l’unico modo per uscire da questa situazione malconcio ma non con le ossa rotte. E un’avvisaglia di quanto sta per avvenire, dello sganciamento del premier dal suo ministro si ha prima del vertice, sull’aereo Parigi-Roma. Diverbio ad alta quota.
Giulio - dice il premier - devi capire che questa situazione è divenuta insostenibile. Io ti ho difeso come ho potuto, ma tu non mi ha facilitato questo compito e ora Fini è determinato. Non posso andare alla crisi. Sarebbe un disastro, lo sai anche tu, quindi ora assumiti le tue responsabilità». Tremonti, però, non è tipo da mollare come se niente fosse. «Io - spiega a Berlusconi - non mi dimetto, se vogliono che me ne vada facciano una bella mozione di sfiducia individuale contro di me in Parlamento, li voglio proprio vedere». E molte ore dopo, a tarda notte, Tremonti continua a resistere, a prendersela con quel Berlusconi che lo ha sacrificato, perché, «Gianfranco io voglio più bene a te che a Giulio»...
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