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MODERATORE

SUPERSAGGIO
Maradona è morto: «Arresto cardiaco»

L'ex Pibe de Oro aveva 60 anni, era nella sua casa di Tigre.
Dieci giorni fa aveva lasciato l'ospedale dopo un intervento al cervello


di Gaia Piccardi




Diego Armando Maradona è morto. L’ultimo dribbling non gli è riuscito: aveva seminato tutta l’Inghilterra al Mondiale ‘86 ma un arresto cardiorespiratorio ha sgambettato l’ex Pibe de Oro, che aveva compiuto 60 anni da venticinque giorni. Una notizia terribile in un anno tremendo che getta nella costernazione tutti (non esisteva al mondo sportivo che godesse di popolarità interplanetaria e trasversale superiore a Maradona) e gela il mondo del calcio: in Argentina la sua prima squadra, il Boca Junior, ha annunciato che non scenderà in campo, in Italia la sua Napoli, dove aveva giocato dal 1984 al 1991 vincendo due scudetti e una Coppa Italia, è ammutolita: «Tutti aspettano le nostre parole — è il tweet della società — ma quali parole possiamo usare per il dolore che stiamo vivendo? Ora è il momento delle lacrime».

Maradona si era già sentito male nel giorno del suo sessantesimo compleanno, il 30 ottobre scorso. Era stato ricoverato in una clinica di La Plata. Poi era stato trasferito nella clinica Olivos di Buenos Aires, scortato dalla polizia come un primo ministro e accolto da orde di tifosi, tra cori e fumogeni azzurri. Martedì 3 novembre aveva subito una delicata operazione al cervello per rimuovere un ematoma subdurale. Cioè un coagulo di sangue che fuoriesce dalle vene e mette sotto pressione il cervello. Può ferire o lacerare il tessuto cerebrale vicino. Intervento delicatissimo, al termine del quale il suo chirurgo — tifoso di Diego come chiunque abbia avuto la ventura di intercettarlo anche solo per un attimo nell’esercizio delle sue funzioni, il calcio —, Leopoldo Luque, aveva postato su Instagram una foto piena di speranza: «Ti avevo dato la mia parola, ti sei fidato e ce l’abbiamo fatta».

Sembrava che il campione, dopo il grande spavento, avesse superato il momento più difficile: Diego infatti era stato dimesso per affrontare la seconda fase del recupero in un’abitazione privata nella zona del Nordelta, centro residenziale alle porte della Capitale argentina. La decisione era stata presa di comune accordo dallo staff medico e dall’entourage intimo di Maradona: le figlie, le sorelle e l’ex fidanzata Veronica Ojeda. Nel momento del bisogno, dopo aver mantenuto per tutta la carriera una corte dei miracoli che non si è fatta scrupolo di approfittare dell’ingenuità di un bambino mai del tutto cresciuto, attorno a Maradona si erano coagulati gli affetti più cari. Le donne della sua vita.

Difficile riassumere cosa è stato Diego Armando Maradona. Impossibile capire se sia nato prima il calcio o l’interprete che ha saputo esaltarne più di ogni altro grandezze e bassezze, alternando gioie a dolori, picchi altissimi e clamorosi sprofondi, perché nella sua esistenza El Pibe non si è davvero fatto mancare niente. Maradona, forse, semplicemente, è stato il calcio.
Di certo ha vissuto tante vite. I natali poveri a Lanùs, figlio di Diego e Dalma, madre venerata, l’infanzia a Villa Fiorito dove non c’è l’acqua corrente ma non manca un pallone di stracci a cui tirare i primi calci: se non fosse cresciuto in un posto così, inseguendo i sogni a stomaco vuoto, non sarebbe diventato Maradona. Debutta in prima squadra con l’Argentinos Junior il 20 ottobre 1976: mancano dieci giorni al suo 16esimo compleanno. Entra per Ruben Anibal Giacobetti nella sfida con il Talleres di Cordoba, la stessa squadra contro cui esordirà con la maglia del Boca Juniors, a cui l’Argentinos lo presterà nell’81. La seconda vita in Spagna, due stagioni al Barcellona di Menotti: fa in tempo a spaccarsi la gamba (l’intervento di Goicoetxea è da macellaio), lo rimette in piedi il medico di fiducia (uno dei tanti in una vita zeppa di malanni e acciacchi), Ruben Dario Oliva, pronto per l’avventura italiana.


La terza vita a Napoli. È lì, con vista mare, che inizia la leggenda di Maradona, acquisto illuminato del presidente Ferlaino. Diego porta la squadra a vincere il primo scudetto della sua storia nel campionato 1986-1987, con Ottavio Bianchi in panchina. In quella stagione il Napoli conquista anche la Coppa Italia. Le vittorie continuano nel 1989, con la Coppa Uefa, e nel 1990 con il secondo scudetto. Maradona diventa un idolo popolare, il simbolo del riscatto di una città. Non si nega a nessuno — tifosi, donne, spacciatori, malavitosi —, la stessa generosità che butta in campo (provate a trovare un ex compagno che parli male di lui) se la porta in tasca dappertutto, fuori: insieme a un talento esagerato è il marchio di fabbrica di un numero 10 amatissimo, strabordante di gol e umanità. L’esperienza italiana di Maradona finisce il 17 marzo 1991 dopo un controllo antidoping al termine della partita di campionato Napoli-Bari (1-0). Positivo alla cocaina, la più seducente tra le sue conquiste.

Dopo un anno e mezzo di squalifica per doping, ricomincia al Siviglia di Carlos Bilardo, il c.t. dell’Argentina al Mondiale ‘86 e ‘90. È con la maglia della Seleccion che Maradona, trascinato dall’orgoglio di appartenenza, ottiene la conquista di cui andrà più fiero: la Coppa del mondo in Messico, battendo 3-2 in finale la Germania Ovest. 5 gol e 5 assist nelle sette partite giocate (tutte vinte tranne l’1-1 con l’Italia nella fase a gironi) ma soprattutto, nel secondo tempo dei quarti di finale con l’Inghilterra, le due reti passate alla storia come «la mano de Dios» (battendo Shilton con il pugno) e «il gol del secolo» (mettendo a sedere mezza squadra rivale e arrivando in rete da centrocampo). Italia ‘90 gli riserverà la delusione della vendetta servita fredda dalla Germania, Usa ‘94 un’altra squalifica per doping: positivo all’efedrina, uno stimolante vietato.

Ed è proprio l’attrazione di Maradona per il proibito ad averne minato testa e salute. Campione eccelso ma uomo fragile, ha ecceduto in vizi di ogni tipo. È padre di (almeno) cinque figli: Dalma Nerea (‘87) e Gianinna Dinorah (‘89), nate dal matrimonio con Claudia Villafañe (sposata nel 1984 e dalla quale ha poi divorziato nel 2004); Diego Sinagra (‘86), nato a Napoli dalla relazione con Cristiana Sinagra e non riconosciuto da Maradona fino al 2007; Jana (‘96), dalla relazione con Valeria Sabalaín, e Diego Fernando (2013), nato dalla relazione con Veronica Ojeda. Nel 2009 è arrivato Benjamin, figlio del calciatore Sergio Agüero e di Giannina e primo nipote di Maradona. Anche suo figlio Diego jr. è calciatore, così come lo sono stati i suoi fratelli Hugo e Raúl detto Lalo e come lo sono i suoi nipoti Diego Hernán Valeri e i gemelli Nicolás e Santiago Villafañe.

Piangono ex compagni di squadra, leggende che ne hanno sempre invidiato la luce più intensa, grandi e piccini, uomini di sport, di spettacolo, della politica, dell’economia. Piangono gli uomini intesi come esseri umani, tutti senza distinzione di sesso, razza, religione, cultura. Da Mourinho («Fottuto amico, mi manchi») a Valentino Rossi («Ciao, mago della pelota»), da Gentile che lo marcò senza pietà («Io non sono mai stato espulso, lui sì») a Platini che si specchiò nel suo genio («È il nostro passato che se ne va»), da Berlusconi che lo sognò al Milan a Milly Carlucci che lo convinse ad essere ballerino per una notte in uno show di Raiuno.

Una vita di calcio, per il calcio. Ha allenato, viaggiato, partecipato a svariate trasmissioni televisive. Ha frequentato capi di Stato, uomini politici e figure cui la storia non ha ancora saputo attribuire una squadra certa (celebre la sua amicizia con Fidel Castro, con cui condivideva la passione per i sigari). Ha sedotto ed è stato sedotto. E per averlo ai propri piedi non bisognava sfoderare doti speciali: bastava fargli i grattini sotto il mento, come a un randagio bisognoso di coccole e in cerca di una casa dove arrotolarsi sul divano per fare le fusa. Lui, per conquistare — uomini e donne sono indifferentemente caduti sotto l’incantesimo di un carisma innato — non doveva fare niente. Proprio niente. Gli bastava essere Diego Armando Maradona detto il calcio. E viceversa.

Fonte: Corriere della Sera


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