La marcia dei pantaloni rossi

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isa46
00mercoledì 26 marzo 2008 22:25
L’uomo scopre i colori sgargianti. Dalla banca alla barca: tramonta il look country, avanza lo stile ispirato alla vela
Più che sul colore, si discute molto sul dove e il quando e poco sul perché. Vanno bene per il tempo libero? Solo al mare? In televisione? C'è un limite d'età? Ma intanto, per gli uomini, i pantaloni rossi sono diventati una di quelle tendenze da passaparola: c'è uno che li ha visti addosso a un altro e gli stavano tanto bene e allora perché non provare? Le celebrity ci sono, basta ispirarsi.

Marco Tronchetti Provera li porta solo alle regate a Portofino o luoghi simili, con tanto di blazer blu sopra, Francesco Micheli, finanziere appassionato di arte e di musica, ci va in barca, Alberto di Monaco è un principe e può farci quello che vuole, anche aspettare la fidanzata nuotatrice a bordo piscina, Gad Lerner (nella foto) li mette in trasmissione, (all’«Infedele» su «La 7»), quando parla di cose serissime tipo la Passione (in senso religioso) o la morte, e li considera «un classico. Sono di una tonalità non particolarmente squillante e fanno parte del mio guardaroba da molti anni. Tragressivi? Per niente».

Normali nel mondo della musica, tra gli art director e i creativi. Nella versione tecnica da sci (quasi arancio per la verità) li indossa Joe Violanti per radio RDS. Originali quelli visti in passerella alle sfilate della moda uomo, con punte di color fragola da Krizia, toni cardinalizi da Dries Van Noten e quasi rosa da Alexander McQueen. In negozio, ci sono pantaloni rossi cinquetasche da Sisley, da Lacoste e da Jaggy, che nella pubblicità mette assieme lui e lei con gli stessi pants a vita bassa e la maglietta bianca. Ci sono a righe nere, larghe da Moschino e strette da Vivienne Westwood, che ruba i tessuti alle divise militari inglesi.

Eppure, secondo Alessandro Calascibetta, vicedirettore moda di Max, esperto di tendenze uomo, il look Tronchetti Provera «è in po’ irritante, è una finta provocazione, una dichiarazione di status. Insomma, non ci vuole un gran coraggio per andare al mare in giacca blu con i bottoni d'oro, le Tod's e la maglietta. Altro discorso quando pantaloni rossi sono Westwood: lì c’è ricerca e anche divertimento».

Ma nessuno obbliga gli uomini a essere troppo coraggiosi quando vanno a fare shopping. «Alla fine, il rosso è davvero uno dei pochi colori che può entrare in un guardaroba classico - sostiene Filippo Leone Maria Biraghi, collezionista di abbigliamento maschile (possiede 700 abiti di Vivienne Westwood) - non è strano, non è particolarmente giovanile. Lo porta anche mio padre nel tempo libero». E, dal color mattone Calvin Klein e al carminio di Ralph Lauren, dal vermiglio upper class di Paul Smith all'anticonformismo squillante di Comme des Garcons, passando per lo smoking di Valentino, le tentazioni del rosso sono aumentate.

Adesso c'è chi si avventura nella lussureggiante foresta amazzonica delle tonalità limone (Missoni), degli arancio bruciato (Jil Sander), dei viola (Krizia) e di quel giallo carico definito «uovo fritto».

Come ci siamo arrivati? Potremmo scomodare la psicologia dell'abbigliamento di John Carl Flugel, che spiega come il colore sia uno degli elementi di identificazione sociale («mi vesto come quelli che vanno in barca e poi vado al supermercato») e di rivalutazione anagrafica (svecchiarsi è un must, e un commercialista con nostalgie adolescenziali non può certo copiare un rapper).

Ma ci vuole un pizzico di sociologia. Dieci-quindici anni fa il look di tendenza per il tempo libero era il country: giacche vissute, gilet trapuntati, tutti vestiti per la caccia all'anatra anche in ufficio: all'epoca si faceva a pugni per un paio di Timberland. Poi sono arrivate le regate, l'avventura di «Azzurra», e lo stile vela ha preso il sopravvento.

Pantaloni rossi dalla barca alla banca, anche se lo studio di Andrew J. Elliot, professore all' Università di Rochester, pubblicato lo scorso febbraio dal «Journal of Experimental Psychology» suggerisce di procedere con qualche circospezione.

Sembra che il rosso abbia il potere di influenzare in maniera subliminale (e non del tutto positiva) il funzionamento cognitivo. Il gruppo sottoposto a flash di rosso dava più risposte sbagliate degli altri: scattava la cosiddetta «mozione di evitamento», che collega il colore all'errore e allo stop. Perciò, ci sarebbe una buona ragione sociale, oltre che di gusto, nel limitare il rosso alla zona mare. Ma chi ha mai dato retta ai professori?


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