In primo luogo va sfatato il mito della guerra di religione. Le parti in causa lottano per il controllo del territorio e delle risorse e non certamente per imporre uno status religioso. Gli accordi tra il governo centrale e i ribelli impegnati nei vari fronti non sono mai stati applicati in quanto sono tantissimi i gruppi che rivendicano una fetta della torta, mentre gli stessi accordi sono principalmente redatti solo da due parti: il governo di Bashir e lo Spla di Garang. Le scissioni avvenute all'interno dello stesso Spla hanno di fatto moltiplicato i fronti e di conseguenza i gruppi da mettere d'accordo.
Non è migliore la situazione di Bashir, che in seguito a pesanti pressioni interne ha dovuto rilasciare Hassan al-Turabi - leader del Popular Congress, maggiore gruppo di opposizione al governo - il quale sembra molto ben voluto dalla popolazione e dai principali religiosi islamici. Situazione confusa anche in Darfur, dove i gruppi di opposizione armata sono due: lo Sla (esercito di liberazione del Sudan) e lo Jem (movimento per la giustizia e l'ugualianza), i quali si oppongono al governo e alle loro milizie, i fantomatici Janjawid (diavoli a cavallo). Infine, la situazione nelle zone di confine dei Monti Nuba e di Abyei dove gruppi di ribelli di etnia Dinga, che contrastano lo Spla e rivendicano il controllo del territorio e delle zone petrolifere dell'Alto Nilo Occidentale, hanno ripetutamente attaccato i villaggi fedeli a Garang.
vari fronti aperti dalla guerriglia incidono negativamente sull'applicazione dei protocolli di pace redatti tra il governo e lo Spla in quanto rappresentativi di sole due voci e non di tutte le realtà. La base di tutte le dispute è il controllo delle risorse oltre che del territorio. Oltre al petrolio vi sono le risorse idriche su cui avanzare pretese. Gino Barsella ha spiegato molto bene le potenzialità derivanti dall'irrigazione delle zone desertiche usando le acque del Nilo, cosa che per altro veniva fatta in Darfur fino a qualche anno fa e che dava notevoli raccolti di sorgo e altri cereali e che ora viene impedita a causa di accordi tra il Sudan e l'Egitto in merito ai quantitativi di acqua utilizzabili nell'alto corso del Nilo.
Accordi che Garang non contesta, in cambio del controllo sulle risorse petrolifere dei Monti Nuba e del sud, ma che impediscono di fatto ogni tipo di coltivazione alle popolazioni degli Stati attraversati dal Nilo, come per esempio il Kordofan. A completare il quadro vi sono i giacimenti di ottimo petrolio scoperti in Darfur, sui quali le compagnie francesi che hanno fatto le prospezioni hanno da tempo posato lo sguardo. E' chiaro come a questo punto il governo di Khartoum si trovi a dovere intavolare trattative su più fronti, con il risultato di non raggiungere alcun obbiettivo.
Come si evince da queste considerazioni, non vi è in Sudan alcuna guerra di religione ma una serie di forze centrifughe che cercano di ottenere il controllo di parte del territorio e relative risorse. Questa considerazione non è certamente rassicurante, in quanto il rischio di implosione del Sudan è altissimo e le conseguenze che ne deriverebbero sarebbero devastanti, non solo per questa terra e la sua popolazione ma anche per tutta l'area confinante, con ripercussioni inimmaginabili fino alla regione dei Grandi Laghi.
Per questo, si vorrebbe un intervento deciso dell'Onu che, nonostante definisca "storici" gli accordi raggiunti a Nairobi con la risoluzione 1574 del 18 novembre 2004 , ha fatto con la stessa risoluzione un passo indietro nella difesa delle popolazioni oppresse e un incredibile balzo avanti nel riconoscimento della politica di Ahmad al-Bashir, rifiutando la definizione di "genocidio" per quanto sta accadendo in Darfur e superando se stessa quando Kofi Annan ha definito le popolazioni del Darfur "civili a rischio", attivando di conseguenza un incredibile equivoco morale e rifiutando nel contempo la propria responsabilità morale elencata nel mandato costitutivo dell'Onu.