Recensione
Un plot ondivago, nebuloso, in alcuni momenti indecifrabile ed in parallelo una recitazione degna di uno “Z Movie”. E’ presumibile che siate in attesa di una stroncatura completa di Mortuary (altro titolo violentato nella traduzione in italiano…) ma non sarà così. I limiti di una trama veramente minimale, e per di più caratterizzata da una buona serie di contraddizioni ed elementi non spiegati, rimangono, ma di fronte allo stile adottato dai protagonisti si potrebbe anche pensare ad una scelta di Hooper nello sfruttare la scia del “new horror” alla Cabin Fever e La casa dei mille corpi, dove la dozzinalità e l’iperbole esagerata dell’interpretazione diviene una sorta di elemento voluto e circostanziato.
Al di là di questo dilemma, per il resto il regista di Poltergeist e Texax Chainsaw Massacre (Non aprite quella porta) riscopre tutti gli archetipi dell’horror anni ’80 e grazie alla sua indiscutibile abilità registica riesce a mantenere elevata l’empatia dello spettatore agli eventi raccontati sul grande schermo. Si potrebbe ribattere che Mister Tobe utilizzi gli stessi climax emotivi e le stesse dinamiche registiche da oltre un ventennio ma gli appassionati di lunga data (presumibilmente al di sopra degli “enta”) dell’horror anglosassone non vogliono altro da una pellicola a sua firma.
Hooper non compie però esclusivamente una mera operazione di autocitazione, ma rende omaggio a tutta la cinematografia horror di quel decennio magico per tale genere: gli amabili zombie di George Romero, lo humour nero di Joe Dante, la casa maledetta di Sam Raimi sono indubbiamente gli elementi citazionistici di maggior spicco all’interno di una pellicola che in alcuni istanti prova anche a lanciare qualche messaggio di critica sociale, che però non giungono al bersaglio se non come banali richiami all’ipocrisia della cultura conservatrice statunitense.
Molto poco se si pensa al contesto di una cinematografia americana mai così politicamente impegnata come negli ultimi anni o al recente La terra dei morti viventi del già citato Romero, di ben altro spessore sotto quest’ottica. Da segnalare, tra le note positive del film, la totale assenza di effetti digitali (se non quelli di pessima qualità per le ultimissime scene) a cui è stato preferito il buon vecchio make-up “organico” che, a parere di chi scrive, danno una connotazione molto più materiale e realistica alle truculenti scene che nascono appositamente per creare fastidio e nausea allo spettatore. La pulizia e la perfezione dell’eterea estetica digitale mal si coniugano alla natura smaccatamente e volgarmente (nel senso di volgo, di “popular”) dionisiaca dell’horror che riesce ad incarnarsi in modo ben più convincente con plastilina e materiali affini.
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