Morti nello sport...

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speedy13
00giovedì 3 aprile 2008 01:26
(ANSA) - BUDAPEST, 2 APR - L'olimpionico di sollevamento pesi a Mosca '80, Peter Baczako, ungherese, e' morto a 56 anni in seguito ad una miopatia. Baczako aveva anche conquistato il bronzo alle Olimpiadi di Montreal '76. In carriera aveva anche vinto tre medaglie d'argento e sei di bronzo ai campionati mondiali. L'atleta ungherese vantava anche un palmares di rilievo agli Europei, avendo vinto un titolo nel 1979 e conquistato sei medaglie d'argento e quattro di bronzo
binariomorto
00mercoledì 12 gennaio 2011 13:43
Spagna, trovato impiccato in casa l’ex
campione di mountain bike Alberto Leon

E’ stato trovato impiccato nella sua casa di San Lorenzo del Escorial, nella Sierra a nord di Madrid, l’ex-campione spagnolo di mountain-bike Alberto Leon, 37 anni, coinvolto nelle due ultime grandi inchieste antidoping condotte dalla giustizia di Madrid, le operazioni Puerto e Galgo, riferisce la stampa spagnola.

Secondo fonti della polizia i primi elementi raccolti farebbero pensare ad un suicidio. Leon era stato accusato nel 2006, nel quadro della inchiesta Puerto che aveva toccato soprattutto il mondo del ciclismo, di avere collaborato con il dottor Eufemiano Fuentes, presunto cervello di una rete di distribuzione di sostanze dopanti. Leon sarebbe stato il ‘corriere’ incaricato di portare i preparati dopanti agli atleti, scrive El Pais online.

Era stato incriminato per un reato contro la salute pubblica e per traffico di sostanze stupefacenti. Il suo nome e’ tornato alla ribalta in dicembre con l’operazione Galgo, che ha portato all’arresto da parte della Guardias Civil di 14 persone, fra le quali di nuovo Fuentes ma anche la campionessa del mondo 2009 dei 3 mila ostacoli Marta Dominguez, vicepresidente della federazione spagnola di atletica. La regina dell’atletica iberica e’ accusata di fare parte di una nuova rete di somministrazione di sostanze dopanti a campioni spagnoli.

Leon, ricorda El Pais, era stato sorpreso dagli agenti mentre nella sua abitazione di El Escorial, dove oggi e’ stato trovato morto, manipolava una sacca di sangue con l’atleta Alemayehu Bezabeh. Nelle maglie della operazione Galgo, che aveva fatto scattare perquisizioni a Madrid, Las Palmas, Segovia, Alicante e Palencia, erano finiti anche gli allenatori Manuel Pascua e Cesar Perez, l’atleta Alberto Garcia e l’agente Jose’ Antonio Valero.

Fonte: blitzquotidiano
binariomorto
00giovedì 2 giugno 2011 22:22
Addio a Bruch, discobolo-attore
Soffiò una parte a Bud Spencer

Si è spento a 64 anni l'ex lanciatore svedese, noto per i suoi atteggiamenti sopra le righe e la carriera nel cinema. Sostituì Carlo Pedersoli nel film "Anche gli angeli tirano di destro"

MILANO, 1 giugno 2011 - Indimenticabile, folle Ricky Bruch. La notizia della morte dell’ex primatista mondiale del disco, avvenuta martedì a 64 anni per le conseguenze di un tumore al fegato, non è di quelle che passa inosservata per chi ha seguito l’atletica (non solo) negli anni 70. Dal punto di vista atletico Bruch, nonostante il primato del mondo eguagliato del disco con 68.40 nel 1972, non fu un vincente: il massimo traguardo lo raggiunse con il bronzo all’Olimpiade di Monaco ’72, a cui abbinò un argento e un bronzo europeo. Lui che era stato il numero uno del disco per diverse stagioni negli anni 70, ebbe la forza di tornare nell’84 a 38 anni (tantissimi per l’epoca) stabilendo a Malmoe in novembre con 71.26 quella che è ancora oggi l’ottava prestazione mondiale e il record svedese del disco. Salvo confessare a fine carriera di aver fatto largo uso di sostanze dopanti.


PERSONAGGIO — Ma la sua vita spericolata lo rese spesso protagonista anche fuori dal campo. Lui stesso si rivisitò con la biografia Gladiators Kamp pubblicata nel ’90 (preceduta da un’antologia delle sue poesie). Qualcuno di noi lo ricorderà anche in veste d’attore, attività in cui si era distinto in patria: nel 1974 fu lanciato da E.B. Clucher come alternativa a Bud Spencer nel film “Anche gli angeli tirano di destro”, in coppia con Giuliano Gemma, che era in realtà il sequel di “Anche gli altri mangiano fagioli” dove Bruch aveva interpretato la parte di Padre Rocky in sostituzione proprio di Bud Spencer. Ricky era diventato un protagonista soprattutto in patria, distinguendosi prima con le dispute e le pubbliche arrabbiature, poi come controverso commentatore televisivo, incline a perdere le staffe e anche a cambiare idea. L’elenco delle sue malefatte pubbliche e private sarebbe lungo, ma noi che lo abbiamo visto tante volte gareggiare in Italia preferiamo ricordarlo con barba e abbondante capigliatura incolta, mentre lanciava il disco con urla disperate.

Fausto Narducci

Fonte: gazzetta
binariomorto
00giovedì 19 gennaio 2012 22:54
Sarah non ce l'ha fatta
Muore la regina del freestyle

L'atleta canadese era in coma dall'11 gennaio dopo un brutto incidente nel corso di un evento a Park City.

Sarah Burke non ce l'ha fatta. La campionessa di freestyle canadese è morta a seguito delle ferite riportate dopo l'incidente avuto nel superpipe di Park City. La 29enne si era infortunata l'11 gennaio nel corso di un evento organizzato da un suo sponsor personale. La Burke ha subito "irreversibili danni cerebrali a causa della mancanza di ossigeno e sangue al cervello dopo un arresto cardiaco". La canadese aveva vinto per quattro volte il titolo ai Winter X Games ed era l'atleta più conosciuta ed amata dai fan nel suo sport.


PIONIERA — La 29enne Burke era una delle pioniere del freestyle, una replica con gli sci dello snowboard halfipipe che farà il suo debutto olimpico a Sochi 2014, grazie anche alle sue battaglie per conquistare l'ingresso del suo sport fra quelli del programma olimpico. L'impianto nel quale è occorso l'incidente è lo stesso nel quale due anni fa subì un trauma cerebrale lo snowboarder Kevin Pearce, tornato in pista il mese scorso dopo una lungo periodo di riabilitazione

Gasport

Fonte: gazzetta
binariomorto
00sabato 10 marzo 2012 23:40
Tragico salto in Svizzera
Muore Nick Zoricic

Incidente durante una gara di skicross a Grindewald: il 29enne concorrente canadese ha perso il controllo in un salto e sbattuto violentemente contro le barriere. Inutili i soccorsi

Tragico incidente nel corso di una gara di skicross disputatasi a Grindelwald, nel bernese. Il 29enne Nick Zoricic ha perso il controllo dopo un salto ed è andato a sbattere violentemente contro le barriere di protezione. Per il canadese, che cercava di sorpassare i concorrenti in discesa con lui, l'impatto è stato violentissimo e le sue condizioni sono da subito apparse gravissime. "La morte, specifica un comunicato della federazione internazionale, è giunta alle 12.35 per un grave trauma cerebrale". L'evento è stato subito annullato. Nel corso della sua carriera Zoricic aveva disputato 36 gare nel circuito di Coppa del mondo di skicross collezionando un 8° posto ai mondiali del 2001 a Deer Valley nello Utah.

Un altro dramma per lo sport invernale, in particolare quello canadese, che solo lo scorso 19 gennaio ha pianto la scomparsa di una delle migliori specialiste dell'half pipe, Sara Burke, morta a Salt Lake City, dopo una settimana di agonia seguita a una brutta caduta in allenamento. Zoricic, che si era convertito alle acrobazie dopo gli esordi nello sci alpino, era salito sul podio nella Coppa del mondo di skicross lo scorso gennaio e aveva chiuso la competizione nel 2011 al quinto posto. Sotto choc la squadra e la federazione canadese che nell'annunciare la morte del loro atleta ricorda Nick, "un vero giovane di talento e un grande atleta, molto amato dai suoi compagni di squadra e anche dai suoi avversari" dice il presidente della federazione canadese di sci, Max Gartner. "Mancherà molto a tutti noi e a tutta la comunità dello sci - ha aggiunto -. È una giornata molto triste" si limitano a dire gli organizzatori della gara che fanno sapere di voler organizzare una cerimonia in onore dello sciatore scomparso. La polizia del cantone di Berna aprirà un'inchiesta sull'incidente.

Gasport

Fonte: gazzetta
binariomorto
00domenica 3 giugno 2012 19:22
Dramma nella pallamano, muore l'azzurro Bisori
Sotto un treno a Bologna, si tratterebbe di suicidio

ROMA - Dramma nel mondo della pallamano. L'azzurro Alessio Bisori e' morto sotto un treno alla stazione di Bologna la scorsa notte: il giocatore, 24 anni, doveva raggiungere Fasano di Brindisi per il raduno della nazionale. Per la polizia ferroviaria l'ipotesi e' suicidio: secondo quanto emerso, infatti, Bisori avrebbe lasciato nella stanza d'albergo a Bologna un biglietto per la sua famiglia. Testimoni poi lo hanno visto sdraiarsi sul binario 1 della stazione prima dell'arrivo del treno che ha travolto il giovane.

Bisori, nato a Prato il 14 febbraio 1988, giocava con l'Ambra ed era titolare in Nazionale, con cui aveva collezionato 54 presenze. Secondo le prime ricostruzioni, il ragazzo ha preso ieri una stanza d'albergo a Bologna dove poi é stato ritrovato il biglietto destinato ai suoi familiari in cui avrebbe scritto "Non riesco più a vivere". Bisori doveva raggiungere Fasano in Puglia dove la nazionale azzurra si raduna in vista del torneo di qualificazione agli europei del 2014, in programma a Bari dall'8 al 10 giugno. La notizia della tragica scomparsa dell'azzurro ha choccato il mondo della pallamano: il presidente della federazione, Francesco Purromuto, ha espresso alla famiglia del giocatore "il più profondo cordoglio del movimento" disponendo un minuto di silenzio in occasione di tutte le manifestazioni sportive della pallamano che si disputeranno in Italia oggi e nel prossimo week-end. La Nazionale al torneo di Bari giocherà con il lutto al braccio. "Con la scomparsa di Alessio Bisori la pallamano italiana - fa sapere la federazione - perde uno dei suoi più giovani talenti e un punto di forza della Nazionale azzurra".

Fonte: ANSA
binariomorto
00giovedì 30 agosto 2012 00:37
Russia, suicida il c.t. della
nazionale femminile di volley

Sergei Ovchinnikov, 43 anni, si sarebbe impiccato nella sua stanza d'albergo in Croazia, dove si trovava con la squadra, la Dinamo Mosca. Tra le cause del gesto non si esclude la delusione dopo la sconfitta alle Olimpiadi di Londra


Il commissario tecnico della nazionale femminile russa di pallavolo e allenatore della squadra di pallavolo Dinamo di Mosca, Sergei Ovchinnikov, morto nella giornata di mercoledì all'età di 43 anni in Croazia, si sarebbe suicidato. Secondo le prime informazioni della polizia croata, riportate dai media a Zagabria, Ovchinnikov si sarebbe tolto la vita nella sua stanza di un albergo di Porec, in Istria, dove si trovava per un periodo di allenamento con la squadra moscovita.

IPOTESI — I portali croati riportano alcune ipotesi dei media russi, che cercano le ragioni del probabile suicidio nella cattiva prestazione della nazionale di pallavolo alle Olimpiadi di Londra. La squadra, che nel 2006 e nel 2010 vinse il titolo di campione del mondo, era considerata tra le favorite per la conquista di una medaglia ai Giochi di Londra, ma è stata eliminata ai quarti di finale dal Brasile, dopo aver sprecato sei match point. Ovchinnikov non sarebbe riuscito a sopportare la sconfitta della sua nazionale, alla cui guida era dal novembre del 2011. I media di Zagabria riferiscono che l'allenatore è stato trovato impiccato nella sua stanza.

Gasport

Fonte: gazzetta
binariomorto
00venerdì 19 ottobre 2012 23:42
E' morto Fiorenzo Magni
Volto moderno del ciclismo eroico

Avrebbe compiuto 92 anni a dicembre, era il terzo uomo del ciclismo eroico di Coppi e Bartali. Al suo attivo tre Giri d'Italia, era noto anche come il Leone delle Fiandre per la tripletta nella classica del Nord

Un lutto grande nel mondo dello sport azzurro. E' morto Fiorenzo Magni, uno dei grandissimi, il terzo uomo del ciclismo eroico italiano, con Coppi e Bartali, che entusiasmò un Paese intero a cavallo della Seconda Guerra Mondiale. Avebbe compiuto 92 anni il 7 dicembre. Solo una settimana fa aveva presenziato alla presentazione di un libro che ne raccontava le gesta

Doveva succedere. Inutile girarci tanto intorno: prima o poi doveva succedere. E’ successo poi, quando stava per compiere i 92 anni, ma a noi, a voi, a tutti, sembra che sia successo prima. Perché ormai si pensava che avesse conquistato il dono dell’eternità. E 92 anni, al cospetto dell’eternità, sono soltanto uno scatto. Da oggi, è ufficiale, siamo tutti orfani. Adesso lo possiamo dire: Fiorenzo Magni era il ciclismo. Quell’idea di ciclismo che era soltanto biciclette, corridori su biciclette, corse su biciclette. Quell’idea del ciclismo che era anni scanditi dalle corse, il Capodanno coincideva con la Milano-Sanremo e il Natale con il Giro di Lombardia, e in mezzo c'era il Giro d’Italia, il Giro di Francia (Giro, non Tour), e poi anche i campionati del mondo, e fra Natale e Capodanno si andava in pista, ma era già un’altra parrocchia. Quell’idea del ciclismo che era fuga prima dalla miseria e poi dalla povertà, che era sempre meglio che andare a lavorare nei campi o in fabbrica, che era fame e anche astinenza, che era avventure ed esplorazioni, che era storie e soprattutto storia, la storia d’Italia e la storia degli italiani. E quell’idea del ciclismo che nessun altro, d’ora in poi, potrà riassumere in una sola vita.


ERA IL CICLISMO — Fiorenzo Magni era il ciclismo perché lo aveva respirato da corridore, da direttore sportivo, da commissario tecnico, da presidente dei corridori e da presidente della Lega, poi da console onorario, da ambasciatore internazionale, da autorità planetaria. Il supremo organo giudicante: accoglieva tutti, ma sapeva immediatamente individuare trasgressori, usurpatori, traditori. Il suo ciclismo era religione, missione, passione. In una parola: amore. Stretto fra Bartali e Coppi, Magni non ha mai fatto altro che ringraziarli: senza quei due - diceva - non sarei stato nessuno, mi hanno fatto diventare uomo.

INTEGRO E COERENTE — Esattamente vero il contrario: è stato Magni a proteggerne e a esaltarne la memoria. E poi la vita ha dimostrato che l’autentica maglia rosa ce l'aveva lui: toscano trapiantato a Monza, il romanticismo del ciclista applicato al raziocinio dell’industriale, saggezza ed equilibrio, integrità e coerenza, e la lungimiranza di chi sa, o di chi pensa, o di chi finge di essere eterno.

ADDOLCITO — E in dirittura di arrivo il suo carattere fumantino si è perfino addomesticato, addolcito. Ma senza perdere mai di autorevolezza e di autorità. Tant’è che le sue richieste pratiche si trasformavano in istantanei comandamenti morali. E’ stato un privilegio, anzi, un onore attraversare la strada di Fiorenzo Magni. Per fortuna, data la lunga distanza della sua esistenza, un privilegio, anzi, un onore, toccato a tanti. Adesso sarebbe giusto che il funerale di Magni venisse celebrato sul Ghisallo, là dove sorge il Museo del ciclismo, il suo Museo, perché solo lui avrebbe potuto realizzarlo in un luogo dell’anima. Un’impresa più ardua dei tre Giri d’Italia, dei tre Giri di Fiandre, dei tre campionati italiani e di tutti i suoi altri primi posti.

Marco Pastonesi

Fonte: gazzetta
binariomorto
00domenica 18 novembre 2012 18:28
Edlinger, il re del free climbing
cade dalle scale e muore

Il pioniere dell'arrampicata sportiva sarebbe rimasto vittima venerdì di un incidente domestico nella sua casa di La Palud, in Francia. Aveva 52 anni


Si era arrampicato nelle gole del Verdon aprendo vie fino ad allora considerate impossibili, era diventato un alpinista di livello mondiale, una star televisiva invidiata ed emulata. Dopo aver scalato le montagne più ripide è morto nel modo più impensabile, cadendo dalle scale. L'arrampicatore Patrick Edlinger, detto "il biondo", un pioniere della specialità, sarebbe rimasto vittima venerdì di un incidente domestico nella sua casa di La Palud, nel Verdon, Provenza francese.

STAR DEGLI ANNI '80 — Secondo le prime ricostruzioni della Gendarmeria transalpina Edlinger, che aveva 52 anni, sarebbe caduto da una ripida scala, battendo la testa e procurandosi una vasta , fatale, emorragia. Nato a pochi chilometri dai Pirenei aveva iniziato a scalare a 8 anni sulle montagne di casa. La svolta nell'incontro con Patrick Berhault, grande alpinista francese, insieme i due avevano iniziato ad arrampicare le gole del Verdon. All'inizio degli Anni 80 la sua fama si era amplificata grazie a dei documentari tv che lo avevano fatto diventare una star. L'alpinista nel '95 si era ritirato dalle competizioni per una grave caduta sulle Alpi francesi, ma continuava ad arrampicarsi tutti i giorni. Negli ultimi anni aveva avuto problemi di alcolismo. Negli ultimi giorni alcuni amici l'avevano visto più depresso del solito.

Gasport

Fonte: gazzetta
binariomorto
00giovedì 21 marzo 2013 14:12
È morto Pietro Mennea: aveva 60 anni
L'olimpionico dei 200 era malato

Olimpionico a Mosca 1980, fu per 17 anni recordman mondiale dei 200. Un minuto di silenzio questa sera a Ginevra prima dell'amichevole Italia-Brasile, azzurri col lutto al braccio

È morto stamattina in una clinica a Roma, all'età di 60 anni, Pietro Mennea, ex velocista azzurro, olimpionico e per anni primatista mondiale dei 200 metri. Era nato a Barletta il 28 giugno 1952. Da tempo lottava con un male incurabile. Appresa la notizia, il presidente del Coni, Giovanni Malagò, è rientrato da Milano, dove si trovava per impegni di lavoro. Il numero 1 dello sport italiano ha disposto l'allestimento della camera ardente per oggi pomeriggio, nella sede del Coni, a Roma.

Il mare di Formia deve essersi intristito di brutto stamattina. Pietro Mennea è morto a 60 anni e pochi mesi – era nato a Barletta il 28 giugno del 1952 - e oltre alla sua Barletta, al suo studio di avvocato, ai tanti stadi frequentati, al dolore di sua moglie Manuela, c’è venuto da pensare a quei giorni infiniti fra l’hotel Miramare e la scuola dello sport di Formia, la sua seconda casa, diventata negli anni prima, primissima, alle mille ripetute sui 150 metri, gli allenamenti durante le feste di Natale, di Pasqua e di Capodanno, lui con quella strana tuta blu della nazionale che portava larga larga e il professor Vittori con il cronometro in mano. L’atletica era la sua vocazione, il terreno su cui aveva scelto di spremere se stesso, come disse lui in una delle tante biografie: “da quando non contavo nulla a quando una gara era diventata un esame”. E che esami. Quelli vinti, stravinti, sempre con qualche retroscena alle spalle, riempito da un’insicurezza che si trasformava in forza della natura. La natura di uomo normale che s’era messo a sfidare i marziani.

RECORD E MEDAGLIE — Pietro Mennea è stato campione olimpico a Mosca nel 1980 sui 200 metri, un anno prima s’era preso a Città del Messico il primato del mondo con quel 19”72 che sarebbe rimasto sul trono fino al 1996 (lo battè Michael Johnson prima degli anni dell’uragano Bolt), 6018 giorni di regno, e che ancora oggi è il migliore tempo di un europeo sulla distanza. Ma nel suo curriculum interminabile c’è di tutto: i tre titoli europei fra Roma ’74 (100) e Praga ’78 (100 e 200). E poi un argento mondiale con la staffetta a Helsinki ‘83. Ma a proposito di staffetta, chi non ricorda quella prodigiosa rimonta che portò al bronzo la 4 x 400 a Mosca? E non uno, ma due ritorni, come se l’atletica fosse qualcosa di cui non si riusciva a fare a meno, prima nell’82, poi nell’87. In tutto cinque finali olimpiche, 528 gare per 52 presenze in Nazionale.
Era tutto cominciato a Barletta, dove aveva cominciato con l’Avis. La pista che ha difeso con il cuore negli ultimi anni in cui l’avrebbero voluta smantellare, quella in cui realizzò quel 19”96 post olimpico, un’altra medaglia d’oro per lui. Poi era venuta quella notte a Termoli, il giorno in cui Tommie Smith l’aveva preceduto nell’albo d’oro del record del mondo dei 200 metri. Il giorno dopo avrebbe dovuto correre lui, una gara giovanile. Il momento in cui scatta qualcosa, in cui senti dentro di te una storia che prende la strada giusta. Quella che l’avrebbe portato al bronzo di Monaco, alla delusione del quarto posto di Montreal, a Praga, a quel ragazzino messicano con cui aveva condiviso la vigilia delle Universiadi nel villaggio di Città del Messico, un’amicizia portafortuna di cui ci aveva parlato a lungo. Quindi Mosca, la botta sui 100 metri, il “non corro” prima dei 200, un grande tira e molla dell’animo. E ancora il primo ritiro e poi il ritorno a Helsinki e quel viaggio all’inferno, 1984, a Los Angeles già andata, l’”assaggio” del doping, quasi il gusto perverso di vedere per un solo attimo ciò che era più lontano da lui, un atleta tutto e solo allenamento.

UOMO DI LEGGE — Raccontò e poi si mise a lottare contro il doping a testa bassa: libri, denunce, proposte di legge. Già, la Legge. Mennea ne aveva fatto la sua seconda vita. Giurisprudenza, la sua prima laurea, nell’89, subito dopo Seul. E poi Scienze Politiche, Lettere, Scienze Motorie. Un record del mondo pure questo. Se n’è andato a 60 anni. Vivendo tante vite. A un certo punto, finiti tutti i ritorni possibili, aveva cominciato a non sopportare l’atletica. Qualcosa di strano, come se si fosse convinto che quell’impegno, quelle corse, gli avessero portato via tutta la vita che c’era. Era finito pure nel calcio, procuratore di giocatori e poi direttore generale della Salernitana alla fine degli anni ’90. Ma non era il suo ambiente. Quindi, in politica, deputato europeo con Di Pietro e relatore del Rapporto sullo sport votato a Strasburgo nel 2000. Poi era tornato al mestiere di avvocato, aveva riscoperto l’atletica, facendoci pace. Voleva dare, voleva trasmettere anche se lo sport, lo sport che deve organizzare, dirigere, promuovere, non era riuscito mai a considerarlo una risorsa. Il matrimonio con Manuela aveva spostato parecchio in questa trasformazione. Forse si era finalmente reso conto dell’importanza delle pagine scritte incontrando il gusto di rileggerle. Gli piovevano i complimenti di tutto il mondo. Quelli di Mourinho, per esempio, che dichiarò di essersi ispirato a lui. Questi ultimi mesi li ha vissuti in silenzio. E noi qui a interrogarci su un segnale che ci avrebbe potuto portare a quel dramma che si stava consumando e di cui non sapevamo niente. Una scheggia di conversazione riferita da un amico: “Scusa, non ti ho potuto rispondere, ero in clinica”. Di certo c’è lo smarrimento di tutto lo sport italiano, soprattutto delle persone di mezze età, quelle abituate al “Mennea, Mennea” pronunciato tante volte da Paolo Rosi, quelle che da ragazzini prendendo l’autobus al volo si sentivano dire dal conducente “e chi sei, Mennea!”. Da oggi quegli italiani lì si sentono più vecchi, più soli, più tristi.

Valerio Piccioni

Fonte: gazzetta
neve67
00giovedì 28 marzo 2013 22:25
grande campione e orgoglio italiano
!Serenella!
00mercoledì 3 aprile 2013 16:42
[SM=g1402441]
binariomorto
00sabato 12 ottobre 2013 12:19
Trovata morta Maria De Villota
Alonso: "Una grande tristezza"

Il corpo senza vita della pilota, scampata a un tragico incidente con la Marussia in cui perse un occhio, è stato rinvenuto in una camera di albergo a Siviglia, dove doveva tenere una conferenza. I primi rilievi parlano di morte naturale


Una tragica notizia arriva dalla Spagna: Maria de Villota, 33 anni, è stata trovata morta in una camera di albergo a Siviglia, dove avrebbe dovuto tenere un discorso nell'ambito di una conferenza universitaria su "esperienze di grande impatto". I servizi sanitari hanno ricevuto una chiamata alle 7 di mattina e nonostante i loro tentativi di rianimare la pilota, non sono riusciti a salvarla.

MORTE NATURALE — Si ignorano le cause del decesso, ma si presume sia per morte naturale. I primi rilievi sul corpo e le fonti investigative confermerebbero quanto emerso nelle ore precedenti. Già secondo le prime informazioni infatti, nella stanza d'albergo in cui Maria De Villota è stata rinvenuta priva di vita, non erano stati trovati né farmaci né segni di violenza e tutto lasciava pensare che si trattasse di morte naturale. Ipotesi avvalorata anche dalle parole di Carlos Gracia, presidente della Federazione spagnola di automobilismo: "Per quello che so, la sua assistente personale, Arancha, è entrata nella camera per svegliarla ma ha visto che non si muoveva. Era già morta e sembra si sia trattato di morte naturale anche se non sappiamo molto altro".

IL TRAGICO TEST — Maria de Villota era scampata a un terribile incidente in un test F.1 con la Marussia, il 3 luglio 2012 a Duxford, quando andò a sbattere contro il portellone posteriore di un camion parcheggiato a bordo pista, riportando gravissime ferite alla testa, fra cui la perdita dell'occhio destro. "La prima volta che mi sono guardata allo specchio – aveva raccontato – ho pensato 'chi mi vorrà così?' Adesso invece quando mi specchio il mio aspetto mi dice chi è Maria de Villota". Si era sposata a luglio e lunedì era prevista la presentazione del suo libro 'La vida es un regalo'.

ALONSO IN LUTTO DA SUZUKA — Alonso ha saputo la notizia subito dopo la fine delle seconde libere a Suzuka: "È una notizia triste per tutto lo sport dei motori, era amica di tutti noi piloti. Non resta che pregare per lei e la sua famiglia, a cui sono vicino. Ho bisogno di qualche minuto per riflettere, ora ho molta tristezza".

I TANTI TWEET — Nelle ore successive alla notizia in tanti hanno voluto esprimere il loro cordoglio per la scomparsa di Maria. Tra questi Jorge Lorenzo, impegnato a Sepang nel mondiale MotoGP: "Che brutta notizia ho appena avuto in Malesia, la grave perdita di Maria De Villota, una lottatrice". Marc Marquez, pilota Honda, non è stato da meno: "Il coraggio e il sacrificio dimostrato da Maria de Villota un esempio per tutti". Fernando Llorente, attaccante della Juve: "Una triste notizia, un grande abbraccio alla famiglia e agli amici". Andres Iniesta, stella del Barcellona: "Una notizia molto triste". Felipe Massa (Ferrari F1): "Il mio pensiero è alla famiglia". Jenson Button (McLaren F1): "È stata una donna di grande esempio. I miei pensieri alla famiglia in questo momento difficile".

MESSAGGIO DELLA MARUSSIA — La Marussia sul suo sito ha lasciato questo messaggio: "È con grande tristezza che abbiamo appreso da poco della morte di Maria de Villota: i nostri pensieri e le nostre preghiere sono per la famiglia di Maria e i suoi amici in questo momento difficile".

Gasport

Fonte: gazzetta
binariomorto
00sabato 30 novembre 2013 23:40
Romboni muore in pista:
tragedia al Simoncelli Day

A Latina, durante le seconde qualifiche della festa-spettacolo in onore del romagnolo scomparso due anni fa, l'ex pilota (6 vittorie nel Motomondiale) cade ed è investito. Inutili il ricovero in ospedale e l'intervento chirurgico per salvarlo


Tragedia alla seconda edizione del SicDay, la festa spettacolo in memoria del compianto Marco Simoncelli in programma su piccolo circuito “Sagittario” di Latina: è morto dopo un incidente in pista Doriano Romboni, 44 anni, ex campione del Motomondiale in cui ha vinto anche 6 GP.

L'INCIDENTE — L'incidente alle 13.41, durante la seconda sessione di qualifica. Romboni ha perso il controllo alla curva 12 e ha sbandato sulla parte sinistra, attraversando il prato e finendo di nuovo in pista in prossimità della curva sette, scontrandosi frontalmente con Gianluca Vizziello, 33 anni, di Policoro (Matera), ex campione italiano di velocità. L'ex protagonista del Motomondiale, che era consulente tecnico della Federmoto, è rimasto esanime in pista. Alcuni piloti, resisi conto della gravità dell'incidente, si sono fermati sul luogo, tra questi Max Biaggi e il telecronista Mediaset Guido Meda, che è poi rientrato ai box a piedi in stato di choc.

SOCCORSI — L'elisoccorso è arrivato in circuito in pochissimi minuti ma alle 14.05 i sanitari stavano ancora tentando di rianimare Romboni direttamente in pista. Alle 14.22 l'elisoccorso è poi decollato verso l'ospedale Santa Maria Goretti di Latina. Alle 16.59 Romboni è stato portato in sala operatoria: i medici sono intervenuti per la rimozione di un importante edema cerebrale. Ma alle 17.11 è arrivata la notizia del decesso.

6 VITTORIE MONDIALI — Nato a Lerici (Spezia) l'8 dicembre 1968 Doriano Romboni è stato uno dei piloti italiani più veloci negli anni Novanta. Ha vinto sei GP in 125 e 250. Miglior piazzamento iridato nella 250 del 1994 vinta proprio da Max Biaggi.

IL SICDAY — Il SicDay è la gara spettacolo organizzata per ricordare Marco Simoncelli, campione della MotoGP morto durante il GP di Malesia 2011 a Sepang. Il SicDay, giunto alla seconda edizione, è una gara spettacolo che si corre con le Supermotard, una moto fuoristrada adattata alla pista. Si sarebbe dovuta correre a coppie: uno specialista della categoria e un campione della Motovelocità. La prima edizione si è tenuta lo scorso anno ed è stata vinta da Andrea Dovizioso, pilota ufficiale Ducati MotoGP. In pista con Romboni c'erano alcuni campionissimi di MotoGP e Superbike: Max Biaggi, lo stesso Dovizioso e molti altri. Non c'è Valentino Rossi che stanotte aveva annunciato la sua mancata presenza con due tweet. Il primo: "Purtroppo ho dovuto arrendermi e non potrò partecipare al Sic Supermoto day. Mi dispiace un sacco, volevo venire a fare un po' di bagarre". Il secondo: "Comunque, se potete, andate a fare un giro, ci saranno un sacco di piloti forti e tutto il ricavato andrà alla fondazione Marco Simoncelli". Dopo l'incidente occorso a Romboni, il programma delle prove è stato cancellato. La Federmoto ha poi deciso di annullare la manifestazione in segno di lutto.

Paolo Gozzi

Fonte: gazzetta
binariomorto
00lunedì 21 aprile 2014 16:13
Morto Rubin "Hurricane" Carter,
il pugile ribelle che ispirò Bob Dylan

Il boxer si è spento dopo una lunga battaglia con il cancro.
Era diventato il simbolo dell'ingiustizia, condannato per un triplice
omicidio mai commesso, passò vent'anni in prigione.
La sua vita ha ispirato un'epoca di lotte contro il razzismo




TORONTO - L'uragano si è fermato. Rubin Carter, l'ex peso medio noto come 'Hurricane', è morto a 76 anni mentre dormiva, nella sua casa di Toronto. A dare la notizia è stato John Artis, assistente, amico e compagno di cella, perché ritenuto il complice degli omicidi. Il soprannome lo accompagnava da sempre. Era stato il pubblico che lo andava a vedere combattere negli anni Sessanta a sceglierlo. Per la forza e la velocità con cui colpiva gli avversari. Per l'imprevedibilità, per il timore che incuteva con la sua testa rasata, gli occhi di fuoco. Carter se n'è andato a causa di un peggioramento delle sue condizioni di salute, precarie dalla comparsa di un cancro alla prostata tre anni fa.

"Tutti coloro che sono stati ingiustamente incarcerati hanno perso un campione - ha detto Artis -. Ha dedicato la sua intera vita ad aiutare le persone che avevano bisogno della stessa assistenza, dello stesso appoggio o aiuto di cui abbiamo avuto bisogno anche noi, che siamo stati accusati, puniti e finiti in prigione senza ragione e senza giustizia".

Carter è stato il simbolo dell'ingiustizia, da quando fu accusato di un triplice omicidio avvenuto il 17 giugno 1966 a Paterson, New Jersey. Fu condannato a due ergastoli dopo la testimonianza decisiva di due criminali, Alfred Bello e Arthur Bradley, che in seguito ritrattarono le loro versioni. Fu sottoposto a un nuovo processo e tornò per un breve periodo in libertà nel 1976, ma dopo una seconda condanna tornò in cella per altri nove anni. Fu scarcerato solo nel 1985, quando l'accusa rinunciò a muovere in giudizio una terza volta contro l'illegittimità processuale sollevata dalla Corte Federale. Nel 1988 caddero ufficialmente tutte le accuse contro di lui. In tutto passò quasi diciannove anni in carcere per un assassinio che non aveva commesso. Non si arrese mai, né mai smise di professarsi innocente.

La sua lotta e la sua storia restano vive in Hurricane, canzone che Bob Dylan scrisse nel 1975 dopo aver letto l'autobiografia 'The Sixteenth Round' (TESTO). Sulla vita del pugile si ispira anche un film del 1999, 'Hurricane - Il grido dell'innocenza (The Hurricane)', per il quale Denzel Washington ottenne la candidatura agli Oscar.


Il 17 giugno 1966, alle 2.30 del mattino due uomini di colore entrarono nel "Lafayette Bar and Grill" a Paterson, New Jersey, e cominciarono a sparare. Fred "Cedar Grove Bob" Nauyoks e il barista Jim Oliver morirono sul colpo. Una donna, Hazel Tanis, un mese dopo, aveva la gola, lo stomaco, l'intestino, la milza, il polmone sinistro e un braccio perforati dai proiettili. Una quarta persona, Willie Marins, sopravvisse all'attacco, ma perse la vista a un occhio.

Alfred Bello vide la scena e notò una macchina bianca sfrecciare verso ovest con due uomini di colore sui sedili anteriori. La macchina di Carter coincideva con quella vista dai testimoni, la polizia fermò lui e John Artis mezzora dopo la sparatoria. Nessuno dei testimoni li riconobbe ma nell'auto la polizia trovò una pistola calibro 32 e dei proiettili per fucile calibro 12, lo stesso calibro usato dagli assassini.

Dopo la condanna per il triplice omicidio l'opinione pubblica si schierò dalla parte dell'ex pugile, sostenendo che l'accusa era motivata esclusivamente da motivi razziali. La giuria al primo processo era interamente composta da bianchi. In breve il pugile divenne un simbolo della lotta alle discriminazioni razziali.

Icona di un'epoca, Carter restò un pugile sempre. Il suo ring divenne la cella e poi la vita, negli ultimi anni viveva facendo il 'motivatore'. Nato a Clifton, Stati Uniti, nel 1937, dal 1961 al 1966 vinse 27 incontri, per un totale di 12 sconfitte e un pareggio in 40 incontri, con 8 knockout e 11 knockout tecnici. Alto 1 metro e 73, Carter era più basso di un peso medio, ma combatté per tutta la sua carriera in questa categoria. La potenza dei suoi pugni lo fecero diventare beniamino del pubblico. Dopo aver battuto avversari come Florentino Fernandez, Holley Mims, Gomeo Brennan e George Benton, il mondo della boxe cominciò a notarlo. Ring Magazine lo inserì nella sua "Top 10" nel luglio del 1963. Il 20 dicembre sorprese il mondo della boxe mandando al tappeto il passato e futuro campione del mondo Emile Griffith due volte nel primo round, aggiudicandosi il KO tecnico. 'Hurricane' ha ricevuto la cintura di Campione del Mondo dal World Boxing Council nel 1993.

Fonte: Repubblica
binariomorto
00domenica 4 maggio 2014 13:44

L’ex capo meccanico della Ferrari Nigel Stepney, 56 anni, è morto in un incidente in autostrada nelle prime ore di venerdì 2 maggio. Sceso dalla sua Volkswagen mentre si trovava sull'autostrada inglese M20 è inspiegabilmente entrato nella carreggiata ed è stato immediatamente travolto da un autoarticolato. La notizia della morta di Stepney è stata resa nota dalla JRM Racing, la scuderia di automobili endurance della quale era entrato a far parte come team manager e direttore tecnico nel 2010, al termine del periodo di inattività seguito alla condanna. E’ stata la sua scuderia a dare la notizia della tragica scomparsa.

SPY STORY — L’ingegnere britannico era stato al centro di uno scandalo spionaggio in Formula 1 nel 2007, venne licenziato dalla Ferrari accusato di aver passato informazioni riservate alla McLaren e non ha mai più lavorato in Formula 1. Lo scandalo esplose quando venne trovato a casa del capo progettista della McLaren Mike Coughlan un fascicolo tecnico sulle Ferrari. La scuderia inglese venne multata di 100 milioni di dollari e venne squalificata nel campionato costruttori dopo essere stato accusato di aver usato a suo vantaggio le informazioni trapelate. Stepney venne condannato a un anno e otto mesi di carcere con la condizionale.

Prima che alla Ferrari Stepney si era costruito una solida esperienza tecnica e di capo del personale lavorando prima per la Shadow poi per la Lotus e infine per la Benetton dalla quale, assieme a Ross Brawn e Rory Byrne, passò alla Ferrari e fu tra i protagonisti dei mondiali vinti dal Cavallino e da Schumacher.

Mario Vicentini

Fonte: gazzetta
binariomorto
00lunedì 19 maggio 2014 23:43
La F.1 è in lutto, si è spento il grande Jack Brabham

L'australiano è morto all'età di 88 anni.
Vinse tre titoli mondiali nel 1959, 1960 e 1966.
L'ultimo titolo a bordo di una vettura personalmente progettata.
Ron Dennis (McLaren): "Se ne va una leggenda"


L'ex campione del mondo di F1 Jack Brabham, tre volte campione, è morto oggi all'età di 88 anni. A dare la triste notizia la famiglia e la Federazione automobilistica australiana. Il pilota australiano è stato campione del mondo nel 1959, 1960 e 1966: "Mio padre è morto serenamente a casa, questa mattina", ha scritto il più giovane dei suoi figli, David, sul sito web della Brabham.


VITA INCREDIBILE — "Ha vissuto una vita incredibile, raggiungendo più di quanto chiunque sognerebbe e continuerà a vivere attraverso l'eredità stupefacente che ha lasciato". Brabham ha disputato 126 GP tra il 1955 e il 1970, vincendo 14 gare ed è stato l'unico pilota della storia ad aver vinto il titolo iridato, nel 1966, su una monoposto che aveva personalmente progettato e costruito e che portava il suo nome.

REAZIONI — Tante, ovviamente, le commosse reazioni alla notizia, soprattutto da parte del mondo della F.1 e in special modo di chi lo ha conosciuto di persona. Come Ron Dennis, il presidente della McLaren che lavorò personalmente con lui: "Fu un onore e un privilegio - ha detto Dennis in una nota diffusa dalla McLaren - vorrei rendere omaggio a uno dei nomi più illustri della storia dello sport motoristico. Riposi in pace Sir Jack Brabham, una leggenda".

Gasport

Fonte: gazzetta
binariomorto
00venerdì 22 maggio 2015 16:36
Atletica in lutto: è morta Annarita Sidoti

La marciatrice siciliana si è spenta a 45 anni dopo una lunga battaglia con un tumore al cervello.
Il suo impegno politico e sociale. La lunga serie di successi




Gravissimo lutto per l’atletica italiana. Stamattina è morta a 45 anni Anna Rita Sidoti, campionessa mondiale ed europea nel ’97 e ’98 di marcia, che è stata per anni uno dei simboli del nostro movimento. Si è conclusa tragicamente quindi la sua lunga battaglia con un tumore al cervello contro cui la piccola atleta siciliana di Gioiosa Marea (Messina) combatteva dal 2009, poco dopo il ritiro agonistico: entrata in coma ieri sera la marciatrice si è spenta stamattina. Domani alle 16 nella chiesa dello Spirito Santo di San Giorgio, a Gioiosa Marea (Me), i funerali.

La Sidoti, che anche per la sua statura era diventata un simbolo di coraggio e volontà, era stata anche assessore allo sport della sua comunità, era impegnata in politica e si era distinta per essere diventata un punto di riferimento per le atlete della sua generazione che spesso ospitava a casa sua. Le era mancato il risultato olimpico, ma nelle altre competizioni raramente aveva mancato il podio nelle grandi competizioni.

ORO MONDIALE — La marciatrice siciliana, madre di tre bambini, ha lottato come una leonessa per tutto questo tempo, sempre con il sorriso, aggrappata alla vita in nome dei suoi figli, trovando anche la forza di raccontare pubblicamente la sua vicenda. La Sidoti è stata una delle più grandi campionesse dell’atletica italiana, una delle più vincenti in assoluto: Campionessa europea a Spalato 1990, quando aveva solo 21 anni, centrò il bis continentale otto anni dopo, a Budapest 1998, non prima però di essere riuscita a vincere anche l’oro mondiale, sulla pista di Atene, nel 1997.

E’ stata una colonna della marcia in Italia (47 presenze in azzurro, tre partecipazioni olimpiche, sei mondiali), probabilmente penalizzata dall’allungarsi delle distanze dai 10 km originari fino agli attuali 20 km, distanza sulla quale firmò comunque un prestigioso 1h28'38". Con le compagne d’allenamento e di nazionale Elisabetta Perrone ed Erika Alfridi (ma poi anche con una giovanissima Elisa Rigaudo) compose un gruppo di valore fantastico, in quello che con ogni probabilità è stato il momento di maggior competitività della marcia italiana al femminile.

LA CARRIERA — Nata a Gioiosa Marea (Messina) il 25 luglio 1969; 1.50x42kg. Allenatore: Salvatore Coletta. Presenze in nazionale: 47. Campionessa mondiale dei 10 km di marcia su pista nel 1997, due volte campionessa europea dei 10 km di marcia su strada (1990 e 1998). Ha scelto la marcia sulla spinta di Carmela Aiello, sua insegnante di educazione fisica alle scuole medie. Poi ha speso quasi tutta la carriera con la Tyndaris Pattese, sempre seguita dal professor Salvatore Coletta.

Alla Sai è arrivata nel 2000. Grande specialista malgrado la statura (1.50), ha rappresentato l’Italia in sei edizioni dei Mondiali e in tre dei Giochi olimpici. Sui 10 chilometri, nei primi ha ottenuto una vittoria nel 1997 ad Atene (42'55"49 su pista); nei secondi, un settimo posto nel 1992 a Barcellona. Agli Europei ha gareggiato in quattro edizioni con due vittorie, nel 1990 a Spalato (44'00) e nel 1998 a Budapest (42'49"), e un secondo posto nel 1994 a Helsinki, sempre nei 10 km. Ha detenuto il record italiano dei 5000 m (pista) con 20'21"69 (Cesenatico, 1995). Meno a suo agio sulla distanza dei 20 chilometri, divenuta nel frattempo standard: qui il suo miglior tempo è stato di 1h28'38", nel 2000 a Eisenhüttenstadt. Viveva a San Giorgio di Gioiosa Marea, comune dove aveva ricoperto anche la carica di assessore allo Sport. Nel 2004 è diventata mamma di Federico, a cui sono poi seguiti Edoardo e Alberto.

PALMARES — Titoli italiani:10 (5km: 95, 10km: 91, 20km: 92-95-00-02, 3km indoor: 91-94-01-02)
Giochi olimpici: 1992 (7ª 10 km), 1996 (11ª10km), 2000 (rit. 20km)
Mondiali: 1991 (9ª10 km), 1993 (9/10km), 1995 (13/10km), 1997 (1/10km), 1999 (rit. 20km), 2001 (8/20km)
Europei:1990 (1ª 10km), 1994 (2/10km), 1998 (1ª10km), 2002 (8ª 20 km)
Mondiali indoor (3 km): 1991 (squal.), 1993 (6)
Europei indoor (3km): 1990 (3), 1992 (4), 1994 (1ª)
Mondiali jr: 1988 (4ª5 km)
Europei jr: 1987 (7ª5 km)
Giochi del Mediterraneo: 1997 (2ª10km) Universiadi: 1989 (5ª5 km), 1991 (3/10km), 1995 (1/10km), 1997 (3ª10km)
Coppa del Mondo: 1989 (8/10km), 1991 (9/10km), 1993 (7/10km), 1995 (9/10km), 1997 (6/10km)
Coppa Europa: 1996 (1ª10 km), 1998 (rit/10km), 2000 (5/20km), 2001 (11/20km)

Fausto Narducci

Fonte: gazzetta
binariomorto
00sabato 18 luglio 2015 14:10
È morto Jules Bianchi. La famiglia su Twitter: "Dolore immenso"

I familiari dello sfortunato pilota hanno dato l'annuncio via Twitter:
"Ha combattuto fino all'ultimo ma oggi la sua battaglia è giunta al termine"


La famiglia di Jules Bianchi ha annunciato che il pilota francese è morto per le ferite alla testa riportate nell'incidente nel GP del Giappone dell'anno scorso. La notizia è stata postata sull'account Twitter ufficiale di Bianchi all'alba di oggi e quindi confermata dal team Manor. Bianchi, 25 anni, era in coma dal 5 ottobre scorso quando la sua vettura si scontrò con un trattore che stava portando via dalla pista un'altra vettura. La dichiarazione della famiglia afferma: "Jules ha combattuto fino all'ultimo, come ha sempre fatto, ma oggi la sua battaglia è giunta al termine. Il nostro dolore è immenso ed indescrivibile".

AMORE E DEDIZIONE — "Desideriamo ringraziare lo staff medico dell'ospedale che si è occupato di lui con amore e dedizione - aggiunge la famiglia di Bianchi - ringraziamo anche il personale del centro medico generale nella prefettura di Mie in Giappone che si è occupato di Jules subito dopo l'incidente, così come tutti gli altri medici che sono stati coinvolti nelle cure per Jules nel corso degli ultimi mesi".

GRAZIE A TUTTI — "Inoltre, ringraziamo i colleghi, gli amici, i tifosi di Jules e tutti coloro che hanno dimostrato il loro affetto per lui in questi ultimi mesi. Ci hanno dato grande forza e aiutato nei momenti difficili. L'ascolto e la lettura dei tanti messaggi ci hanno fatto capire quanto Jules avesse toccato i cuori e le menti di tante persone in tutto il mondo. Vorremmo chiedere infine che la nostra privacy sia rispettata in questo momento difficile" conclude la nota della famiglia Bianchi.

REAZIONE MARUSSIA — "Siamo devastati per la perdita di Jules dopo una così ardua battaglia. È stato un privilegio averlo fatto correre per il nostro team". Così la Marussia, il team per il quale Jules Bianchi correva, commenta la morte del pilota francese avvenuta a 9 mesi dal terribile incidente di Suzuka. “Le parole non possono descrivere l'enorme tristezza del team questa mattina. Ha lasciato un segno indelebile nelle nostre vite e resterà sempre dentro di noi. Aveva un talento splendente, era destinato a grandi cose nel nostro sport, un successo meritato. Ed era una stupenda persona".

Gasport

Fonte: gazzetta
binariomorto
00sabato 4 giugno 2016 21:40
È morto a 74 anni Muhammad Ali: complicazioni respiratorie

L'ex campione dei pesi massimi era ricoverato da giovedì:
il 9 aprile la sua ultima apparizione pubblica. Mercoledì la tumulazione in una cerimonia privata,
funerali venerdì a Louisville, nel Kentucky, dove era nato come Cassius Clay, nel 1942



Complicazioni respiratorie, aggravate dal morbo di Parkinson: a Phoenix è morto a 74 anni Muhammad Ali, ex campione del mondo dei pesi massimi, forse il più grande sportivo di sempre. Era ricoverato in ospedale da giovedì pomeriggio, e nella serata di ieri le sue condizioni si erano aggravate. The Greatest era stato ricoverato l'ultima volta nel gennaio del 2015 per una forte infezione alle vie urinarie è già allora si era temuto per il peggio.

LEGGENDA — L'ex Cassius Clay, che ha lasciato la boxe nel 1981, era apparso per l'ultima volta in pubblico il 9 aprile a Phoenix per la cena delle Celebrity Fight Night: indossava occhiali scuri e sembrava indebolito. Lo scorso aprile la Gazzetta lo ha incoronato Leggenda delle leggende nell’anniversario dei 120 anni di storia. Tra i primi a commentare, su twitter, Mike Tyson: "Dio si è preso il suo campione".

FUNERALI — Mercoledì è prevista la tumulazione privata, i funerali si terranno venerdì a Louisville, nel Kentucky, città natale di Ali, dove negli ultimi anni il Più Grande è stato assistito dalla moglie Lonnie. Nato il 17 gennaio '42 a Louisville Cassius Clay è stato campione olimpico dei mediomassimi a Roma ’60. Da professionista, combattendo col nome di Muhammad Ali, ha ottenuto 56 vittorie e 5 sconfitte ed è stato il primo a conquistare per tre volte il titolo mondiale dei massimi.

Massimo Lopes Pegna

Fonte: gazzetta
binariomorto
00sabato 4 giugno 2016 21:48
Addio a Muhammad Ali leggenda della boxe: aveva 74 anni


E' morto nella notte in un ospedale di Phoenix, in Arizona.
Non è stato solo un campione, ma anche una delle personalità più
rilevanti e influenti del ventesimo secolo


Il mito della boxe non c'è più, è morto. Muhammad Ali se n'è andato nella notte tra venerdì e sabato in un ospedale di Phoenix, in Arizona. A darne notizia la famiglia. L'ex campione del mondo dei pesi massimi e oro olimpico a Roma '60 era stato ricoverato giovedì 2 giugno per "precauzione". Le sue condizioni non erano state giudicate gravi, ma data l'età e il morbo di Parkinson, di cui 'Il più grande' era malato da trent'anni, i medici avevano scelto la strada della prudenza. I funerali di Muhammad Ali si terranno nella sua città natale Louisville, nel Kentucky.



Obama: "Il mondo è migliore grazie a lui"
"Muhammad Ali ha scosso il mondo. E per questo il mondo adesso è migliore. Siamo tutti migliori". Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, esprimendo insieme con la first lady Michelle le sue più profonde condoglianze alla famiglia, ricorda così il grandissimo uomo e pugile. Era "il più grande", ha detto, "punto e basta". "'Io sono l'America', disse una volta - ha ricordato Obama citando Muhammad Ali - 'Io sono quella parte che voi non riconoscete. Ma abituatevi a me: nero, sicuro di me, impertinente; il mio nome, non il vostro; la mia religione, non la vostra; i miei obietivi, solo i miei. Abituatevi a me'''. ''Questo è colui che conobbi crescendo, non un poeta così abile quanto lo era sul ring, ma un uomo che combatteva per ciò che era giusto'', ha sottolineato ancora il presidente degli Stati Uniti. ''Accanto a King e Mandela, reagì quando era difficile farlo, parlò quando gli altri tacevano. La sua lotta fuori dal ring gli sarebbe costata il titolo e la posizione pubblica, gli avrebbe portato nemici a destra e a sinistra, insulti e lo avrebbe quasi mandato in prigione. Ma Ali rimase imperterrito. E la sua vittoria ci ha consentito di abituarci all'America che oggi riconosciamo''.

Anche Pelè piange Muhammad Ali
"Muhammad Ali era mio amico, il mio idolo, il mio eroe". Anche Pelè si unisce all'omaggio per il campione scomparso: ricordi personali per il mito del calcio, che sulla pagina ufficiale di Facebook, posta anche una foto in bianco e nero che lo ritrae mentre abbraccia Ali. "Il mondo dello sport subisce una grande perdita - scrive -. Abbiamo passato molti momenti insieme e tenuto contatti in tutti questi anni. La tristezza è enorme. Ora il desiderio è che riposi vicino a Dio: amore e forza alla sua famiglia".

Spesso in ospedale
L'ex Cassius Clay, che aveva lasciato la boxe nel 1981, era stato in ospedale diverse volte negli ultimi anni. L'ultima nel gennaio 2015, per una grave infezione alle vie urinarie, sebbene in un primo momento gli fosse stata diagnosticata una polmonite.

Poche apparizioni pubbliche
Pochissime da anni le sue apparizioni pubbliche, e nelle più recenti era apparso sempre più sofferente e fragile. Anche l'ultima volta, lo scorso 9 aprile, quando aveva voluto partecipare alla 'Celebrity Fight Night' a Phoenix, un evento annuale che è anche occasione per una raccolta fondi a favore della ricerca contro il Parkinson. Era tuttavia in evidenti difficoltà fisiche, sorretto per tutto il tempo e con il viso nascosto dietro un paio di occhiali scuri. Prima di allora aveva preso parte ad un tributo a lui dedicato nella sua città natale, Louisville in Kentucky.

Il Parkinson
Il morbo di Parkinson di cui soffriva fu palese al mondo per il tremore delle mani mentre accendeva la torcia olimpica nel 1996, ai Giochi di Atlanta. Eppure Muhammad Ali era rimasto attivo a lungo come figura pubblica. Nonostante la sofferenza soltanto negli ultimi anni si era del tutto ritirato a vita privata. Alcuni esperti sostengono che la malattia possa essere stata causata dai colpi presi sul ring nel corso della carriera.

Traccia indelebile
La sua traccia resta indelebile, non solo in quanto sportivo e campione, ma anche come una delle personalità più rilevanti e influenti del ventesimo secolo, forse una tra le figure oggi più riconoscibili in tutto il mondo.

La conversione
Nato Cassius Marcellus Clay Jr., cambiò il suo nome in Muhammed Ali nel 1964, dopo essersi convertito all'Islam. Divenne un simbolo per il movimento di liberazione dei neri negli Stati Uniti durante gli anni '60, anche per aver sfidato il governo americano, opponendosi all'arruolamento nell'esercito per motivi religiosi. E' stato sposato quattro volte e ha nove figli.



Fonte;: tiscali
binariomorto
00domenica 13 novembre 2016 13:11
Enzo Maiorca è morto, addio al "re degli abissi"


Il sub siracusano recordman di immersioni si è spento questa mattina




E' morto il re degli abissi Enzo Maiorca. Il sub siracusano recordman di immersioni si è spento questa mattina a 85 anni. Il primo successo nel 1960 quando arrivò a meno 45 metri battendo il brasiliano Amerigo Santarelli.

Epiche le sue sfide con il rivale di sempre Jaques Mayol, poi, nel 1976, il ritiro e il ritorno nel 1988 quando arrivò fino a 101 metri. Terminata la carriera agonistica, si è dedicato alla salvaguardia dell'ambiente. Una parentesi politica quando nel 1994 fu eletto senatore nelle liste di Alleanza nazionale. La sua passione è stata sempre condivisa dalle sue figlie Patrizia e Rossana, quest'ultima appassionata di immersione e detentrice di record morta nel 2005. La camera ardente è stata allestita nel salone "Paolo Borsellino" di Palazzo Vermexio. I funerali probabilmente martedì.

"All'alba di oggi, in una di quelle giornate di sole in cui il mare del porto grande a Siracusa sembra immobile, ci ha lasciato un nostro grande concittadino. Grazie Enzo Maiorca, buon viaggio" ha commentato il sindaco di Siracusa, Giancarlo Garozzo.

"Un personaggio che ho conosciuto per la sua storia sportiva ma a me ha colpito l'uomo Maiorca, la sua sensibilità sui temi dell'ambiente. Un uomo come lui ci mancherà. A tutto il Paese come sportivo eccezionale, uomo integro e attaccato alla sua terra: orgoglioso di essere siracusano" ha detto il prefetto Armando Gradone.

Fonte: ANSA
binariomorto
00sabato 22 aprile 2017 23:49
Ciclismo, è morto Michele Scarponi, vittima di un tragico incidente stradale

Il campione dell'Astana, vincitore del Giro d'Italia 2011 dopo
la squalifica di Contador, è stato investito in sella alla sua bici.
Aveva 37 anni. Lunedì scorso la sua ultima vittoria



Michele Scarponi è morto stamattina in un incidente stradale mentre si allenava a Filottrano, il suo paese. La tragedia è avvenuta alle 8.05 in via dell'Industria, all'altezza di un'intersezione. Michele veniva da Filottrano in discesa, mentre un furgone, guidato da un 57enne del posto, che sopraggiungeva in salita e stava svoltando, avrebbe omesso di dargli la precedenza. L'impatto è stato violentissimo, il tutto sotto lo sguardo attonito di decine di automobilisti che si sono subito resi conto della gravità della situazione. Attivato il 118, la centrale operativa ha provveduto ad inviare un'ambulanza infermieristica che in pochi minuti ha raggiunto il luogo dell'intervento. Nel frattempo, dall'ospedale regionale di Torrette di Ancona, si alzava in volo l'elicottero. L'anestesista rianimatore non ha potuto far altro che constatare il decesso. Scarponi, 37 anni, è deceduto sul colpo. L'investitore, indagato per omicidio stradale, ha detto ai carabinieri di non aver visto il corridore mentre sopraggiungeva.

AL GIRO — Professionista dal 2002, noto a tutti per le grandi doti di scalatore, Scarponi aveva vinto il Giro d'Italia 2011 dopo la squalifica di Alberto Contador ed era stato appena promosso capitano della squadra kazaka per il prossimo Giro d'Italia dopo il forfait di Fabio Aru. Appena cinque giorni fa aveva vinto la prima tappa del Tour of the Alps indossando la maglia di leader, la stessa che ha portato ai suoi figli gemelli Giacomo e Tommaso venerdì sera, come mostra la foto pubblicata su twitter.
Scarponi era conosciuto e apprezzato anche per le sue doti umane: sorridente e sempre pronto alla battuta, spesso iniziava gli allenamenti in compagnia del suo pappagallo Frankie, ripreso più volte in video postati sul suo profilo twitter. Era uno dei corridori più amati in gruppo. Lascia la moglie e due figli gemelli. Una notizia pesantissima per il mondo del ciclismo, a meno di due settimane dal via del Giro d'Italia, la corsa che lo ha visto vincere tre tappe tra 2009 e 2010. Sempre nel 2009 aveva conquistato anche la classifica generale della Tirreno-Adriatico.

LUTTO NELLO SPORT — Non è mancato il cordoglio di tutto lo sport italiano. A cominciare dal presidente del Coni Giovanni Malagò: "Sono profondamente colpito dalla tragica scomparsa di Michele. Lo sport italiano si stringa in un forte abbraccio alla famiglia". Via social i messaggi si moltiplicano, dal mondo del calcio (Lazio, Genoa e via via moltissime squadre professionistiche) a naturalmente quello del ciclismo. Il Coni ha poi invitato le federazioni nazionali a far osservare durante le manifestazioni del weekend un minuto di silenzio per ricordare Scarponi.

Gasport

Fonte: Gazzetta dello Sport
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