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21/02/2011 00:46
 
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Pechino, protesta tra web e gelsomini
Soffocate le prove di rivolta "tunisina"

Ispirati dalle ribellioni in Africa e Medio Oriente, nella capitale e altre città alcuni attivisti hanno lanciato i simbolici fiori come forma di protesta. Rapido l'intervento della polizia, sul territorio e con blocco di cellulari e web. Centinaia di arresti


PECHINO - Le rivolte in Nordafrica e Medio Oriente ispirano i giovani cinesi che provano a scendere in piazza contro il regime. E delle manifestazioni tunisine, i cinesi prendono in prestito i simboli, in questo caso il gelsomino. La tensione è arrivata fino a Wangfujing, la via dello shopping di Pechino a poca distanza da Piazza Tienanmen, con un assembramento e lancio di gelsomini. Un atto che segue un messaggio apparso sul web, che invitava alla protesta.

LA GALLERIA FOTOGRAFICA

A Pechino i fiori di Tunisi. La dimostrazione è iniziata con una piccola folla composta inizialmente soprattutto da curiosi, giornalisti e forze dell'ordine in borghese. Ma tra la ressa era evidentemente presente un drappello di manifestanti organizzati, che hanno approfittato del momento migliore per lanciare alcuni mazzi di gelsomini bianchi dalla scalinata di un centro commerciale, sotto i flash e le telecamere dei media. Un comportamento che ha fatto scattare l'intervento di un massiccio spiegamento delle forze di polizia.

La reazione degli agenti è stata composta, immediata e decisa: i poliziotti già presenti sul posto sono stati raggiunti da diverse dozzine di colleghi, che hanno spinto la folla verso la strada tentando di disperderla, mentre altri agenti facevano sparire velocemente i fiori gettandoli nell'immondizia.
La risposta delle forze dell'ordine è stata anche mediatica: per una decina di minuti le telecomunicazioni della zona sono state completamente oscurate, rendendo inutilizzabili i telefoni cellulari.

Dopo pochi minuti la tensione è salita ancora, e in due occasioni si è sfiorato lo scontro fisico. Alcuni poliziotti hanno bruscamente fronteggiato un cameraman straniero, mentre altri hanno allontanato un ragazzo cinese che aveva raccolto i gelsomini dai cestini della spazzatura. Bloccato da due uomini in borghese, il giovane è stato rilasciato subito dopo. I manifestanti arrestati sarebbero solamente due - un uomo che ha imprecato contro la polizia e un altro che urlava "Ho fame". La polizia era giunta alla manifestazione già preparata, dopo avere scatenato una vasta azione preventiva tanto sul campo che su internet. La parola "gelsomino" risulta bloccata in tutta la Cina sulle piattaforme di microblog, così come i richiami alle proteste in Egitto, Libia, Tunisia, Algeria e Bahrein.

Organizzati sul web. Il messaggio che incitava alla "protesta dei gelsomini" era apparso per la prima volta sul sito americano in lingua cinese Boxun.com, ed è stato successivamente diffuso sul web del Celeste Impero, provocando tra ieri e oggi più di un centinaio di arresti di dissidenti e attivisti. E' il caso dell'avvocato dei diritti umani Jiang Tianrong, condotto via dalla sua casa di Pechino dalle forze dell'ordine, e di alcuni dei suoi colleghi come Teng Biao, Xu Zhiyong e Jiang Tianyong, che risultano irraggiungibili. Ma nessuno dei dissidenti più noti ha esplicitamente firmato l'appello che invitava "tutti i lavoratori licenziati e le vittime di espulsioni forzate" a manifestare anche a Shanghai, Canton e in altre 10 metropoli scandendo slogan come "Vogliamo lavoro", "Lunga vita alla democrazia" e "Vogliamo la libertà". Al momento sembra che l'iniziativa abbia richiamato solo pochi manifestanti nelle altre città e l'esito nella capitale sembra abbastanza modesto rispetto alle aspettative degli anonimi che hanno diffuso il manifesto.

L'inflazione e il rischio Nordafrica. Pechino tuttavia teme l'ondata di manifestazioni che stanno incendiando il Medio Oriente, e il governo appare deciso a evitare il contagio a tutti i costi: ieri il presidente Hu Jintao ha convocato alla Scuola Centrale del Partito Comunista Cinese tutti i leader provinciali e ministeriali per un discorso straordinario nel quale ha invitato i funzionari governativi a "mantenere la stabilità sociale e aumentare i controlli". Ma anche a "studiare i cambiamenti nella situazione nazionale e internazionale e migliorare i meccanismi per risolvere i conflitti sociali".

Nonostante i brillanti risultati economici conseguiti negli ultimi anni, Pechino si trova oggi a fronteggiare un'inflazione galoppante, che sta causando continui rincari di generi alimentari, benzina e gasolio.

L'anti Obama tra i presenti. Tra gli stranieri presenti al momento della protesta c'era anche Jon Huntsman Jr., l'ambasciatore Usa uscente che molti osservatori danno come prossimo sfidante di Barack Obama alle elezioni presidenziali del 2012. Pur avendo assunto nelle ultime settimane posizioni molto critiche sulla situazione dei diritti umani in Cina, Huntsman, che ha una figlia adottiva di origine cinese, non ha rilasciato alcuna dichiarazione.

Fonte: Repubblica


02/03/2011 15:03
 
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SUPERSAGGIO
Vento di rivolta anche a Pechino
arrestati i dissidenti, censura sul web

Primi raduni pacifici nel Paese, convocati i giornalisti stranieri. I leader temono che il virus della libertà contagi anche le terre estreme d'Oriente. Oggi la scintilla si chiama Internet. Domenica prossima migliaia di cinesi sono invitati a occupare silenziosamente il centro di oltre cento città

PECHINO - Wang Fujing, prima strada dei negozi occidentali a Pechino, non è mai stata così pulita. Scorre a due passi da Tienanmen e nel 1989 fu usata per ammassare i carri armati del regime comunista prima della strage degli studenti. Anche piazza Renmin, cuore di Shanghai, viene sommersa dall'acqua più volte al giorno. La Cina è afflitta dalla peggiore siccità degli ultimi cent'anni, ma le autorità non risparmiano autobotti. Fingere una maniacale pulizia dei luoghi pubblici, o aprire cantieri improvvisi attorno a siti sospetti, è il sistema che le autorità della seconda potenza mondiale adottano da due settimane per scacciare, con i pedoni, lo spettro di una rivoluzione. Nessuno, in Cina e all'estero, annusa oggi un'aria da ribellione nel Paese simbolo della crescita, in cui tutti disperatamente confidano. La potenza di Internet rovescia però le dittature dell'Africa mediterranea, il domino democratico si estende nel Medio Oriente e i leader della nazione più popolosa del pianeta, esempio unico di autoritarismo di mercato, temono che il virus della libertà contagi anche le terre estreme dell'Est.

E' la prima volta che una rivoluzione esordisce senza rivoluzionari, promossa solo dal loro fantasma elettronico. Ma per la leadership di Pechino, prossima alla pensione, la differenza non è sostanziale. E' l'ultima generazione di capi rieducati da Mao Zedong, che insegnava come sia una scintilla a bruciare la prateria. Si svuotano dunque i laghi della capitale, per annegare
preventivamente l'evocata "rivoluzione dei gelsomini", come è stata definita per tirare un filo che colleghi la Cina alle prime insurrezioni del 2011, in Egitto e Tunisia. Il popolo del web e le forze dell'ordine assicurano che l'onda della protesta si è alzata domenica 20 febbraio. I cinesi estranei al partito e all'esercito per ora non se ne sono accorti, ma nei palazzi del potere il misterioso allarme scatena una sorprendente isteria. Il primo appello sulla Rete a "manifestare pacificamente per chiedere democrazia, libertà e giustizia" dava appuntamento ogni domenica alle 14 nel centro di una ventina di città-chiave. E' stato raccolto da poche centinaia di persone. Per il dissenso in esilio la ragione è semplice: la censura calata su Internet e sulla stampa governativa impedisce alla gente di sapere che anche in Cina, 62 anni dopo quella comunista partita dalle campagne, sta per scoppiare nell'etere una rivoluzione per cacciare i nipoti della Lunga Marcia. Anche per il potere il motivo per cui la ribellione cinese finora è essenzialmente mediatica, è elementare: nessuno o quasi vuole farla. La realtà è più complessa e spiega perché, in assenza di scontri, da un paio di settimane la Cina vive come se qualcuno stesse per infrangere la sua preziosa stabilità. Nella prima "domenica dei gelsomini" è stato difficile distinguere la folla impegnata nello shopping da quella scesa in strada per testimoniare un silenzioso dissenso.

Nessuno slogan, non uno striscione, nemmeno un insorto riconoscibile. A Pechino, fuori dal McDonald's su Wang Fujing, alcuni ragazzi hanno lanciato in aria tre mazzi di crisantemi bianchi. In questa stagione in Oriente i gelsomini non sono fioriti, ma è bastata l'esibizione generica di fiori per essere picchiati e arrestati dagli agenti. Tra gli spettatori c'era "per caso" anche l'ambasciatore americano in Cina, Jon Huntsman, prossimo candidato repubblicano alle presidenziali. Passava di lì per mano con la figlia e ai funzionari del partito è andato il sangue alla testa. In poche ore la nazione, tutta concentrata a battere ogni primato di arricchimento, è riprecipitata nelle atmosfere sinistre dell'89, o delle più recenti repressioni contro il Falun Gong, in Tibet e nello Xinjiang, o contro chi solo stima Liu Xiaobo, ultimo premio Nobel per la pace. La "Grande Muraglia di Fuoco" è ricalata sulla Rete, censurando decine di parole, tra cui "Huntsman", o "gelsomino". Il governo ha scatenato la propaganda contro "le forze straniere ostili" e per chiarire a ognuno un concetto: la Cina non è il Nord Africa e la sola idea di una rivoluzione è ridicola. Nessuno ha osato sostenere il contrario ma il fuoco, stranamente, non si è spento. Nuovi appelli anonimi alla rivolta domenicale, dalla settimana scorsa a ieri, si moltiplicano sul web. Venerdì una decina di avvocati e un centinaio di dissidenti storici, sono stati arrestati senza motivo. Domenica scorsa Pechino, Shanghai e le più importanti città cinesi sono state blindate e allagate dall'esercito. Poiché i dimostranti latitavano, pattuglie e milizie se la sono presa con i giornalisti stranieri, accorsi in massa, e con allibiti passanti. La tensione, pur in assenza di fatti, continua a salire: domenica prossima migliaia di cinesi sono invitati a occupare silenziosamente il centro di oltre cento città e la rivoluzione che non c'è per il governo è come se ci fosse.

Nessuno può razionalmente spiegare cosa in Cina stia accadendo, ma descrivere questo anomalo dissenso elettronico, soffocato con l'antica violenza, non significa testimoniare che qualcosa di importante non si stia verificando. Il Paese cresce, ma inizia a sentire il fiato delle contraddizioni capitaliste. Il regime è saldo, ma nel pieno di una conflittuale e lunga fase di passaggio personale del potere. L'incubo Corea del Nord, dove l'effetto-Libia può realmente far implodere la dittatura famigliare dei Kim, da mesi toglie il sonno a Pechino. Tra poche ore si aprirà la sessione annuale del parlamento, pronta a varare la più profonda riforma nazionale dall'epoca di Deng Xiaoping. Nuovi interessi, esclusi e forze armate bussano alla porta vecchia del partito, ultimamente incline alle promesse. Sono centinaia di milioni di individui, armati di rivendicazioni opposte. Distanza e distinzioni da Tripoli, dopo che l'e-vaso del diritto alla dignità si è rotto, possono non rivelarsi più determinanti. Mostrare al mondo come si spegne una scintilla anche se non c'è, a un secolo dalla prima rivoluzione repubblicana, è l'estrema via alla stabilità con caratteristiche cinesi.

Fonte: Repubblica


02/03/2011 15:13
 
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i governanti cinesi non sono i dittatorelli nord africani, oltretutto su di loro le pressioni internazionali hanno ben poca presa, possono permettersi di fregarsene altamente!
[Modificato da misterya85 02/03/2011 15:14]
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