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P3, "Su Lodo Alfano e Mondadori
facevamo pressione su Cassazione e Consulta"

Le dichiarazioni di Arcangelo Martino, uno dei "fulcri" della loggia P3.
E' la prima volta che un imputato ammette le manovre di cui è accusa l'organizzazione


ROMA - Le pressioni sulla Corte di Cassazione per il contenzioso fiscale della Mondadori e quelle sulla Corte Costituzionale per il lodo Alfano. Manovre della loggia che, per la prima volta, sono state ammesse da Arcangelo Martino durante un interrogatorio fiume in carcere. Ammissioni importanti per l'accusa perché, fino ad oggi, tutti gli indagati avevano negato. Avevano parlato di "chiacchierate", di "contatti" informali, ma nulla di più. Mai nessuno aveva ammesso che la P3 aveva lavorato nell'ombra a questi scopi. Ora l'imprenditore campano parla.

Innanzitutto il ricorso in Cassazione della Mondadori per il contenzioso con il fisco. Un processo da 400 miliardi di lire che la casa editrice aveva vinto in primo e in secondo grado. Ma il clima che aleggiava intorno all'editore, il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, era che il terzo grado avrebbe potuto non essere favorevole. E costringerlo dunque a pagare quello che l'erario chiedeva, ovvero, 350 milioni di euro (la cifra nel frattempo era lievitata tra interessi, more ed eventuali sanzioni). Non si poteva rischiare di perdere. Serviva tempo: quell'udienza doveva essere rimandata alle Sezioni Unite, un iter regolare, anche se non abituale, che avrebbe permesso di tentare, come è stato scritto da Repubblica, di far passare una legge "ad aziendam". Tentativo che è riuscito con il decreto 40 approvato il 25 marzo del 2010 e poi convertito in legge il 22 maggio. Ma questa è un'altra storia, quello che importa ora è che Martino ha ammesso che la P3 fece pressioni sui giudici della Suprema Corte per poter rimandare l'udienza. "Ci siamo dati da fare anche per il contenzioso fiscale della Mondadori", ha detto l'imprenditore campano arrestato l'8 luglio insieme a Flavio Carboni e Pasquale Lombardi perché considerato uno dei fulcri della loggia.

Dalla corte costituzionale alla Consulta. Una delle attività cui Carboni&Co. si sono dedicati con maggiore dedizione è quella sul lodo Alfano. Che, secondo l'accusa, coinvolge tutti: Carboni, Martino e Lombardi, ma anche Caliendo, Verdini e Dell'Utri. Non a caso, il lodo Alfano, è uno degli argomenti principali del pranzo del 23 settembre a casa Verdini. Telefonate sul tema ce ne sono a centinaia nell'informativa del nucleo investigativo dei carabinieri del comando provinciale di Roma. Arcangelo Martino è uno dei protagonisti della "cosa dei numeri", come la chiamavano tra loro. Il giorno del pranzo nella casa con vista Campidoglio del coordinatore del Pdl Verdini, a cose fatte, Martino e Carboni parlano dell'incontro. Sono soddisfatti. Carboni si dice "soddisfattissimo, credo che sia già arrivato nelle stanze di Cesare, i tribuni hanno già dato notizia. Volevamo solo sentire se era possibile quella cosa". Martino risponde: "Ho già messo in moto la macchina. L'avrò per domani mattina l'esito, anche stasera". Il giorno seguente, i due parlano di nuovo.

Il faccendiere sardo chiede: "Ma dovevano dirmi se numericamente possiamo aggiungere qualche nome". Martino risponde: "Stiamo vedendo. Queste informazioni... se bisogna fare l'incontro con Cesare o con gli altri o questa cosa dei numeri della società, no?". Carboni insiste: "No, ma l'incontro che stanno preparando, aspettano dei numeri quando andate all'incontro". L'imprenditore campano lo calma: "I numeri te li do io". Passa un'altra notte e Carboni richiama: "Questa è così, un po' una fissazione la mia, i numeri?". "Dovrebbero andare bene - dice Martino - io sono ottimista. L'ottimismo viene dal lavoro". Stralci eloquenti, eppure finora nessuno aveva ammesso nulla.

Fonte: Repubblica


11/09/2010 16:20
 
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P3. Martino al magistrato: “Cesare era Berlusconi”


Arcangelo Martino racconta la sua verità ai magistrati sulla presunta associazione segreta P3: per lui il nome in codice ‘Cesare’ si riferirebbe a Silvio Berlusconi.

Martino, arrestato assieme a Flavio Carboni e Pasquale Lombardi, dopo 40 giorni di carcere ha iniziato a parlare. Secondo quanto scrive il ‘Corriere della Sera’, l’indagato ha tirato in ballo anche il nome del senatore Pdl Marcello Dell’Utri: sarebbe lui il “vice-Cesare” delle intercettazioni.

Inoltre Martino ha rivelato, ricostruisce il quotidiano in un articolo di Giovanni Bianconi, che nelle riunioni a casa del coordinatore del Pdl Denis Verdini si sarebbe discusso del destino del Lodo Alfano alla Corte costituzionale e della causa milionaria tra la Mondadori e lo Stato.

Ma nelle sue deposizioni l’uomo avrebbe ricostruito di una serie di macchinazioni per fare cadere il governo Prodi, per mezzo di compravendite di voti in Senato.

In giornata l’avvocato di Martino, Giuseppe De Angelis, ha fatto sapere: «Siamo pronti a presentare appello al riesame dopo la decisione del gip che ha respinto l’istanza di scarcerazione sulla quale la Procura di Roma aveva espresso parere favorevole». È di ieri la decisione del gip di Roma di negare gli arresti domiciliari a Martino dopo la richiesta degli stessi pm che conducono l’inchiesta sulla presunta loggia massonica. «Sono molto addolorato dal punto di vista umano – prosegue l’avvocato -, il mio assistito sta attraversando un momento personale molto complesso, pochi giorni fa è venuta a mancare sua moglie». Sull’ipotesi che la decisione della Procura di dare l’ok alla scarcerazione perchè Martino stia in qualche modo collaborando con gli inquirenti, De Angelis precisa: «Non parlerei di collaborazione, ma la Procura, esprimendo parere favorevole, un elemento questo davvero importante, ha riconosciuto il venir meno della necessità della misura cautelare in carcere. Ora bisogna leggere con attenzione le motivazioni del gip ma siamo pronti a presentare istanza al riesame».

Fonte: blitzquotidiano


11/09/2010 16:27
 
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La verità di Martino ai pm
«Frasi su Cesare? Era il premier»

Uno degli arrestati: a casa Verdini riunioni per Lodo Alfano e Mondadori


ROMA - Nel primo interrogatorio aveva negato perfino di aver pronunciato le frasi registrate dalle microspie, ma dopo quaranta giorni di galera ha cambiato idea e versione dei fatti. Arcangelo Martino - uno dei tre arrestati per la presunta associazione segreta di cui sono accusati, insieme a Flavio Carboni e Pasquale Lombardi anch'essi in carcere, gli esponenti del Pdl Denis Verdini, Marcello Dell'Utri, Nicola Cosentino e Giacomo Caliendo - il 19 agosto ha fatto chiamare il procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo e ha parlato del suo ruolo nel «gruppo di potere occulto» ipotizzato dai magistrati. Ammettendo che effettivamente nelle riunioni a casa Verdini si discuteva del destino del Lodo Alfano alla Corte costituzionale e della causa milionaria tra la Mondadori e lo Stato; spiegando che il nome in codice «Cesare» usato nelle telefonate indicava Silvio Berlusconi e il «vice-Cesare» era Dell'Utri; svelando una confidenza sulla compravendita dei voti in Senato per far cadere il governo Prodi, nella scorsa legislatura.

«Riscontri al quadro indiziario»
Dopo l'interrogatorio, la Procura di Roma ha dato parere favorevole alla concessione degli arresti domiciliari per Martino, ma ieri il giudice delle indagini preliminari Giovanni De Donato ha respinto l'istanza dei suoi avvocati, Simone Ciotti e Giuseppe de Angelis, lasciandolo in prigione. Perché è vero, sostiene il giudice, che «sul piano indiziario le dichiarazioni rese indubbiamente riscontrano ulteriormente il grave quadro indiziario nei confronti degli indagati, ma non appaiono attenuare in modo rilevante le esigenze cautelari». Martino ha fatto un racconto «solo parzialmente veritiero», ha chiarito alcuni fatti «ma ha chiaramente eluso il proprio effettivo ruolo, affermando quasi un ruolo inconsapevole, quasi strumentalizzato cinicamente da Pasquale Lombardi». Dall'indagine emerge, al contrario, «un ruolo direttivo del Martino e del Carboni sul Lombardi».
Dopo l'annullamento da parte della Cassazione dell'ordinanza che aveva confermato l'arresto di Carboni e Lombardi (con rinvio a nuovi giudici, mentre gli indagati restano in cella) l'indagine romana riparte da questa pronuncia e dal verbale d'interrogatorio in cui Martino fornisce la propria verità. Ridimensionando il suo ruolo, ma fornendo un sostegno alle tesi dell'accusa che ora non ha più a disposizione soltanto le intercettazioni telefoniche, ma anche le parziali ammissioni di uno dei protagonisti.

L'imprenditore sardo Flavio Carboni, l'ex assessore socialista Arcangelo Martino e Pasquale Lombardi mentre discutono in strada rutratti in uno scatto pubblicato da l'EspressoArcangelo Martino, militante della Cgil negli anni Ottanta e assessore socialista al Comune di Napoli nei primi Novanta, fino alla cattura e alla condanna per Tangentopoli, ricorda di essersi riavvicinato alla politica grazie a Marcello Dell'Utri. Tramite lui e un'altra persona ha conosciuto Carboni e Lombardi, dediti all'organizzazione di convegni con «numerosi alti magistrati». Martino, che voleva farsi conoscere con l'obiettivo di diventare senatore del Pdl, ne ha finanziati alcuni a Roma, Napoli e Milano. Dice aver versato «circa 40.000 euro» per l'appuntamento del settembre 2009 al Forte Village, in Sardegna, compreso il costo dell'aereo privato per portare e riportare da Napoli l'allora governatore della Campania Bassolino e da Milano il presidente della Lombardia Formigoni.

Lombardi «l'intrallazzatore»
Promotore dei convegni era Pasquale Lombardi, il geometra già sindaco del suo paese in Irpinia ed ex giudice tributario. Con lui Martino s'intratteneva amichevolmente al telefono più volte al giorno, ma adesso lo definisce un «intrallazzatore» affamato di soldi e favori inseguiti attraverso i suoi agganci nel mondo giudiziario. Si attribuiva il merito delle nomine dei presidenti delle corti d'appello di Milano Marra, di Salerno Marconi e di Napoli Bonaiuto, e altri ancora. Vantava buoni rapporti con alcuni esponenti del Csm dell'epoca, tra cui il vice-presidente Mancino e il «togato» Ferri, col presidente della Cassazione Carbone e col procuratore generale Esposito.
Lombardi ne parlava in continuazione, dice Martino, e un paio di volte a settimana sbarcava a Roma per le riunioni; una quasi tutti i mercoledì, al ristorante «da Tullio» dove Martino racconta di aver visto anche i giudici Martone e Gargani, il sottosegretario alla Giustizia Caliendo, il capo dell'ispettorato Miller e altre persone. A volte c'era pure il deputato Renzo Lusetti, ex Partito democratico approdato all'Udc, attraverso il quale Lombardi «cercava informazioni e possibilità di intervento anche a sinistra».
Arcangelo Martino ammette almeno tre riunioni a casa del coordinatore del Pdl Denis Verdini, in piazza dell'Ara Coeli a Roma. La prima nel settembre del 2009, subito prima del convegno di Forte Village. Lui, Carboni e Lombardi - racconta - dovettero aspettare sul portone perché Verdini era impegnato col presidente della Sardegna Cappellacci. Dopo un po' entrò Carboni, dieci minuti più tardi lui e Lombardi. Videro anche Dell'Utri. Carboni disse a Martino e Lombardi che Cappellacci era «un uomo suo», perché lui l'aveva aiutato a farlo eleggere. Poi spiegò a tutti la convenienza economica degli investimenti per l'energia eolica in Sardegna; Martino capì - riferisce ai pm - che Verdini era «direttamente interessato» all'iniziativa e Dell'Utri d'accordo ad appoggiare l'iniziativa.
La seconda riunione ci fu subito dopo il convegno sardo, preceduta da un pranzo «da Tullio» con molte persone fra cui, oltre ai soliti nomi, Martino ricorda anche Lusetti e la deputata del Pdl Nunzia Di Girolamo. Si parlò di Lodo Alfano e di Mondadori, riferisce, e Lombardi spiegò che la norma blocca-processi in favore di Silvio Berlusconi si poteva salvare nel giudizio davanti alla Corte costituzionale, mentre per la causa tra da 450 milioni tra la Mondadori e lo Stato bisognava muoversi in Cassazione. Secondo Martino, verso la fine del pranzo Lombardi si allontanò dicendo che andava proprio in Cassazione per parlare col presidente Carbone e il procuratore generale Esposito; tornò poco dopo, annunciando l'ipotesi di un rinvio della causa e l'assegnazione alle Sezioni unite.
Un paio di giorni dopo, a casa di Verdini, Lombardi sostenne le stesse tesi, ma sulla Corte costituzionale fu più preciso. Secondo Martino indicò i nomi dei giudici che aveva contattato per sapere come si sarebbero espressi, e annunciò una prevedibile maggioranza a favore del Lodo Alfano, e quindi di Berlusconi. Ad ascoltare c'erano Carboni, Verdini, Dell'Utri, Miller, Martone e Caliendo. Dell'Utri si mostrò scettico, mentre Carboni era felice, al pari di Verdini.

La candidatura in Campania
In quell'occasione si discusse anche della candidatura del centrodestra alla presidenza della Campania, e Verdini annunciò che Berlusconi avrebbe deciso tra i «papabili» Caldoro, Lettieri e Miller. Solo nella terza riunione il coordinatore del Pdl annunciò, anche davanti a Miller il quale aveva comunque intenzione di rinunciare, che il premier aveva scelto Caldoro.
In quei giorni i carabinieri pedinavano gli indagati e ascoltavano le loro telefonate, in cui si faceva spesso riferimento a un non meglio precisato «Cesare» da informare, contattare, vedere e coinvolgere, e a volte a un suo «vice». Gli investigatori hanno ipotizzato che fosse un nome in codice per indicare il presidente del Consiglio, e ora Martino conferma: «Cesare» era lo pseudonimo con cui Carboni e Lombardi si riferivano a Silvio Berlusconi, e lui (che nelle conversazioni ne parla) lo sapeva; il «vice» era Marcello Dell'Utri.

La compravendita dei senatori
Nella sua deposizione Martino rivela che alla guida della Campania voleva candidarsi anche Ernesto Sica, l'assessore della Giunta Caldoro dimessosi dopo che l'inchiesta sull'associazione segreta ha svelato la sua partecipazione alle trame contro il governatore. A presentarglielo, dice, fu il giudice di Salerno Umberto Marconi. Gli spiegò che cercava appoggi per la presidenza della Regione, e Martino accettò di aiutarlo. Dopo qualche giorno Sica gli telefonò, si incontrarono in un bar, e l'aspirante candidato raccontò di essere stato un assiduo frequentatore di Berlusconi. Disse che aveva dormito più volte nella residenza romana del premier, a Palazzo Grazioli, ma poi fu allontanato per volontà del sottosegretario Bonaiuti e dell'avvocato Ghedini, che erano «gelosi».
Sica raccontò a Martino - stando alle dichiarazioni di quest'ultimo al procuratore Capaldo - di essersi dato da fare, durante la scorsa legislatura, per far cadere il governo Prodi. Un suo amico imprenditore, ben noto a Berlusconi, aveva messo a disposizione dei soldi per convincere alcuni senatori a cambiare schieramento e far cadere l'esecutivo. Martino ricorda i nomi del napoletano Giuseppe Scalera (eletto con l'Ulivo, poi passato al gruppo misto e oggi deputato del Pdl) e di Giulio Andreotti; per Scalera sostiene che Sica gli fece vedere dei fogli sui quali, diceva lui, erano annotati i versamenti bancari.
A Martino Sica parlò di presunte frequentazioni transessuali di Caldoro, ma lui che di Caldoro era amico riferì tutto al candidato. Le confidenze sulla compravendita dei senatori, invece, le raccontò a Dell'Utri. Poi seppe che Sica era stato convocato da Verdini, dal quale andò con un aereo privato, il quale gli promise un incarico; in seguito Verdini disse a Martino che Berlusconi aveva fatto nominare Sica assessore nella Giunta di Caldoro.
Queste dichiarazioni di Martino, secondo il giudice che l'ha fatto arrestare, sono «solo parzialmente veritiere e in parte palesemente elusive, e quindi non dimostrano una chiara volontà di rompere radicalmente i rapporti con l'ambiente in cui appaiono maturate le condotte delittuose». Per questo, contro il parere dell Procura, l'indagato che ha cominciato a collaborare coi pubblici ministeri resta in carcere.
Giovanni Bianconi

Fonte: CorrieredellaSera


11/09/2010 16:32
 
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P3, Martino: “Cesare” è Berlusconi
Senatori pagati per far cadere Prodi

«Il suo vice è Marcello dell'Utri».
Le pressioni sui magistrati e le manovre in Cassazione per la causa Mondadori

di Valentina Errante e Massimo Martinelli

ROMA (11 settembre) - Le manovre in Cassazione per favorire la Mondadori, quella alla Consulta per il lodo Alfano, gli incontri a casa di Verdini e il suo interesse per il business dell’eolico, i magistrati amici e i senatori comprati per far cadere il governo Prodi.

E poi ”Cesare”, cioè Silvio Berlusconi. E il ”vice Cesare”, cioè Marcello Dell’Utri. Così, alle dieci e 45 di una calda mattina di metà agosto, Arcangelo Martino ha raccontato per otto ore la sua versione sulla loggia P3 al procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo. Chi è Cesare? Quando i pm gli chiedono chiarimenti sulla conversazione del 2 ottobre scorso tra l’ex sottosegretario Nicola Cosentino, anche lui indagato, e Pasquale Lombardi che al telefono dicono «”Cesare” è rimasto contento per quello che gli stiamo facendo per il 6» (il giorno dell’udienza della Corte Costituzionale sul Lodo Alfano), Martino spiega che ”Cesare” era Berlusconi” e ”vice Cesare” e dell’Utri. Per poi chiarire che erano gli altri ad utilizzare questi nomi in codice. Ma che lui ne conosceva il significato.

La causa Mondadori. Se ne comincia a parlare al ristorante, da Tullio, dove una volta a settimana Lombardi riuniva i suoi ”amici”. Accade il 23 settembre 2009, qualche ora prima di andare a casa di Denis Verdini. Ci sono Lombardi, e Flavio Carboni, il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo, l’ex avvocato generale della Cassazione Antonio Martone, e forse anche (Martino dice di non ricordare bene) il parlamentare Renzo Lusetti, il magistrato Angelo Gargani, capo di servizio al controllo interno del ministero, la deputata Nunzia di Girolamo e il magistrato Arcibaldo Miller, capo degli ispettori ministeriali. Viene fuori - secondo il verbale - che Mondadori deve pagare 450 milioni di euro di tasse che la società del presidente del consiglio avrebbe evaso.

Martino racconta che Lombardi annuncia un possibile intervento presso la Cassazione per ottenere un esito favorevole. Lo dice e prende un taxi per il Palazzaccio, lasciando i commensali a discutere nella saletta riservata del ristorante. Poi torna, lasciando intendere di aver parlato con il primo presidente Vincenzo Carbone e con il procuratore generale Vitaliano Esposito e spiega il piano. Il problema di Mondadori si potrà risolvere con il trasferimento della causa dalla sezione Tributaria alle Sezioni Unite. Cosa che poi avverrà puntualmente, e sulla quale il procuratore aggiunto Capaldo ha già interrogato due alti magistrati della Corte. Poche ore dopo, racconta Martino, Lombardi si preoccupa di avvisare Denis Verdini e Marcello Dell’Utri che si è trovata la soluzione per il lodo Mondadori.

Il Lodo Alfano. Racconta Martino che sempre da Tullio, Lombardi avrebbe fatto una relazione sulla situazione del Lodo Alfano. Avrebbe anche riferito dei suoi controlli alla Corte Costituzionale, che in quei giorni doveva decidere se bocciare o no la legge. Sostenendo che ci fossero buone speranze per la promozione del lodo. Poi, di fatto ”cassato” dalla Consulta. Qualche settimana dopo, in casa Verdini, dove c’era anche il senatore Marcello Dell’Utri, invece Lombardi indicava i nomi dei giudici che aveva contattato e si diceva ottimista su una decisione a favore della legge. Anche un giudice donna avrebbe votato per la costituzionalità. L’unico a esprimere preoccupazioni sarebbe stato il senatore Dell’Utri.

Verdini e l’eolico. Il 23 settembre, quando Martino, Lombardi e gli altri si presentano a casa Verdini, il coordinatore del Pdl è impegnato con il presidente della Regione Sardegna Ugo Cappellacci. E’ Flavio Carboni a dire a Martino e Lombardi che Cappellacci è un uomo di Verdini, perché il coordinatore del Pdl ha contribuito alla sua elezione. Carboni, nel corso di quell’incontro, avrebbe spiegato l’importanza della riuscita degli investimenti economici sull’eolico e a quel punto Martino dice di aver compreso quanto Verdini fosse direttamente interessato alla vicenda. Così come Dell’Utri.

I senatori comprati. A Martino gliene parla Ernesto Sica, il sindaco di Pontecagnano indagato nell’inchiesta P3 per il dossier confezionato per bruciare la candidatura alla Regione Campania di Stefano Caldoro. Martino racconta che Sica gli era stato presentato da Umberto Marconi, presidente della Corte d’Appello di Milano. Il sindaco di Pontecagnano gli avrebbe riferito dei suoi rapporti di amicizia con Silvio Berlusconi, che aveva un debito di riconoscenza nei suoi confronti perché grazie a lui, alla mediazione di un imprenditore amico e al pagamento di cospicue somme di denaro, i senatori Scalera (ex Pd oggi Pdl) e Andreotti avrebbero votato contro Prodi contribuendo a far cadere io suo governo. In quell’occasione, Sica avrebbe mostrato anche gli appunti con gli estremi di presunti versamenti a Scalera. Notizie che Martino si preoccupa di ”girare” a Dell’Utri. E poco tempo dopo l’aspirante presidente della Regione Campania viene convocato da Denis Verdini, che lo tranquillizza assicurandogli un posto nella giunta regionale campana. Martino racconta che Sica aveva più volte minacciato di denunciare la corruzione dei senatori, ma che non avrebbe poi presentato alcun esposto. Ed è il coordinatore del Pdl a riferirgli che Berlusconi lo riteneva un ricattatore.

I magistrati amici. Martino snocciola i nomi in apertura di verbale, dicendo che Lombardi si vantava di averne favorito alcune carriere. Oltre a Marra e a Marconi, cita anche Paolo Albano procuratore in Molise e Bonaiuto, presidente di Corte di appello a Napoli. E diceva di essere in ottimi rapporti con l’allora vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, con Vincenzo Carbone e Vitaliano Esposito e con il sottosegretario Caliendo.

Fonte: IlMessaggero


11/09/2010 22:33
 
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P3, "Berlusconi è Cesare"
L'Idv: "Deve dimettersi"

Dopo le rivelazioni sulla deposizione di Martino scoppia la polemica.
Orlando: "Istituzioni in pericolo".
Cicchitto: "Gli arresti servono per forzare gli indagati a parlare"


ROMA - "Cesare-Berlusconi, il vice-Cesare dell'Utri e la sua cricca piduista vadano a casa", così il portavoce dell'Idv Leoluca Orlando commenta la deposizione di Arcangelo Martino che ha detto ai pm che il "Cesare" venuto fuori nelle intercettazioni sui loschi affari della P3 sarebbe proprio il premier. "Le istituzioni democratiche - ha continuato Orlando - e la stessa Costituzione sono in pericolo. Dalle ultime rivelazioni di alcuni organi di stampa sull'inchiesta della nuova P2 emerge, infatti, un quadro gravissimo, eversivo e inquietante. Il presidente del Consiglio, il senatore Dell'Utri, l'ispettore del ministero Miller, il sottosegretario alla giustizia Caliendo, il coordinatore Verdini e l'ex sottosegretario Cosentino, con affaristi e imprenditori senza scrupoli, non solo avrebbero fatto pressioni sulla Consulta per il lodo Alfano, ma anche sulla Cassazione per sistemare la causa da 450 milioni di euro fra la Mondadori e lo Stato. In un paese normale - conclude orlando - si sarebbero già dovuti dimettere tutti".

La polemica nasce dalla notizia secondo cui il nome in codice Cesare usato al telefono dai componenti della "cricca" era effettivamente rivolto al premier. Arcangelo Martino, arrestato assieme a Flavio Carboni e Pasquale Lombardi per la presunta associazione segreta P3, avrebbe spiegato ai pm il suo ruolo nel 'gruppo di potere occulto' e rivelato che il nome in codice si riferirebbe a Silvio Berlusconi e che il "vice-Cesare" delle intercettazioni sarebbe il senatore del Pdl Marcello Dell'Utri.

Martino avrebbe inoltre ammesso che, nelle riunioni a casa del coordinatore del Pdl, Denis Verdini, si sarebbe discusso effettivamente del destino del lodo Alfano alla Corte Costituzionale e della causa milionaria tra la Mondadori e lo Stato. E avrebbe riferito anche di compravendite di voti che si sarebbero svolte in senato per far cadere il governo Prodi nella scorsa legislatura.

Per l'avvocato Renato Borzone, difensore di Flabio Carboni, le dichiarazioni di Martino fanno invece parte di un "circo mediatico" molto prevedibile. "Come ampiamente prevedibile - ha detto - dopo che la Cassazione ha annullato l'ordinanza del Tribunale della Libertà, riprendono le indiscrezioni sull'inchiesta nel tentativo di stampellarla in qualche modo. La notizia del cosiddetto "pentimento" dell' imprenditore Martino, fatta filtrare ad arte all'indomani della decisione della Cassazione, conferma, al di là del gioco di specchi tra procura e gip, che la vera ragione della custodia cautelare degli indagati contrasta con le norme del codice di procedura penale, che vietano che il carcere preventivo sia contemplato per esercitare pressioni sugli indagati a rendere dichiarazioni".

Una dichiarazione alla quale si è attaccato subito il capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto. "A proposito della inchiesta sulla cosiddetta P3 - ha detto Cicchitto - le dichiarazioni dell'avvocato su Arcangelo Martino sono molto inquietanti perché oramai è evidente che c'è una ulteriore ipotesi che riguarda l'arresto ed è quella di forzare le dichiarazioni dell'imputato".

Fonte: Repubblica
[Modificato da binariomorto 11/09/2010 22:33]


12/09/2010 16:21
 
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Berlusconi e l'inchiesta sulla P3
"Non ci sono mascalzoni nel Pdl"

Voci su una convocazione della magistratura. Poi la smentita della Procura.
Il premier alla festa dei giovani pidiellini di Atreju 2010 difende il suo partito.
Di Pietro: "Non ha alcun legame con quel gruppo di potere: è la testa"


ROMA - "I giornali di sinistra hanno messo in giro l'idea che ci sia una nuova tangentopoli, ma non c'è nessuna tangentopoli. Non ci sono mascalzoni nel nostro partito, li abbiamo individuati e provveduto ad espellerli. Conosco i dirigenti del nostro partito, ho grandissima considerazione della loro onestà intellettuale e della loro onestà". Il premier Silvio Berlusconi, parlando alla festa dei giovani del Pdl di Atreju 2010, difende il suo partito. E aggiunge: "Conosco quasi tutti i dirigenti del Pdl e ho stima della loro onestà intellettuale e onestà in generale". Intanto si erano diffuse voci su una convocazione da parte della magistratura romana dopo le rivelazioni sul summit per Lodo Alfano e Mondadori e la conferma che "Cesare" era lui. Ma la Procura ha smentito, precisando in un comunicato firmato dal procuratore Giovanni Ferrara e dall'aggiunto Giancarlo Capaldo che la notizia è priva di qualsiasi fondamento: "La procura di Roma - si legge nel comunicato - in riferimento alle notizie diffuse da alcune testate giornalistiche secondo cui nell'ambito dell'inchiesta denominata 'P3' dai mezzi di comunicazione potrebbe essere sentito come persona informata sui fatti il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, segnala come tale notizia sia del tutto infondata e frutto di mere illazioni giornalistiche".

Secco il commento del leader dell'Idv Antonio Di Pietro: "Berlusconi non ha alcun legame con la P3: è la testa della P3". Così, a margine della festa de Il Fatto Quotidiano, in corso a Marina di Pietrasanta, in provincia di Lucca, l'ex magistrato ha parlato delle ultime vicende giudiziare che vedono coinvolto il premier. "Noi finora abbiamo sempre ragionato sul coinvolgimento delle varie parti di questa piovra politica - ha proseguito Di Pietro - ma a capo della piovra politica c'è proprio lui, che ha fatto una scelta personale, quella di mettersi in politica come terza soluzione rispetto a quegli imprenditori che un tempo o si davano alla fuga o facevano i pentiti processuali".

Fonte: [URL=http://www.repubblica.it/politica/2010/09/12/news


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