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Attesa per il vertice tra Berlusconi e Bossi
L'incontro questa sera ad Arcore

di Federico Garimberti

ROMA - Un vertice per stabilire le prossime mosse dopo il discorso di Gianfranco Fini. Silvio Berlusconi invita Umberto Bossi ad Arcore in un incontro che, dopo quello interlocutorio di Lesa, potrebbe essere decisivo per il proseguo della legislatura. A fianco dei due leader i consiglieri più stretti: Denis Verdini e Niccolò Ghedini con il premier; Roberto Calderoli, Roberto Maroni accanto al Senatur. Assente, perché impegnato all'Ecofin, Giulio Tremonti. Prima di ricevere la delegazione leghista, il Cavaliere fa il punto con i 'fedelissimi': Franco Frattini, Mariastella Gelmini, Denis Verdini, Fabrizio Cicchitto, Niccolò Ghedini.

Al telefono sente altri dirigenti e consiglieri, come Gianni Letta e Paolo Bonaiuti. Quest'ultimo, in mattinata, si fa interprete delle colombe: a Mirabello, dice il portavoce, non c'é stato un fatto "traumatico"; il Governo andrà avanti con i "cinque punti". Ma ad Arcore prevale il pessimismo. Chi lo ha visto racconta di un Berlusconi di pessimo umore, deluso, scoraggiato. Ma al di là dello stato d'animo, quello che emerge è un premier indeciso sulle prossime mosse. Ripete che i nodi sollevati da Fini, lungi dall'essere politici, sono personali. Ma è su altro che concentra la sua attenzione: il suo timore è che quella accusa di "incompatibilità" contro l'ex leader di An si trasformi in un boomerang in caso di voto, mostrandolo come l'autore dello strappo. Circostanza che lo penalizzerebbe non poco nelle urne. Ecco perché, come ha detto Cicchitto lasciando Arcore, lo show down dovrà avvenire in Parlamento, non prima. Solo in Aula il premier potrà verificare se il sospetto che i finiani intendano solo "logorare" e "vietnamizzare" (copyright di Osvaldo Napoli) il governo sia vero. Se così fosse Berlusconi è stato perentorio: se rottura sarà, dovrà essere imputabile unicamente a Fini e su un argomento non attinente alle vicende personali del premier, ma su tematiche che interessino i cittadini. Ecco spiegato lo stralcio del processo breve. Il tema non è stato ancora deciso, ma c'é chi scommette che i leghisti proporranno il federalismo come banco di prova visto che Fini, ieri, ha chiesto che il Sud non venga penalizzato. Comunque sia, l'intento del Cavaliere è di restituire a Fini il cerino. Quello che emerge, dunque, è un Berlusconi ancora orientato a esperire tutti i tentativi prima di gettare la spugna e avviarsi - suo malgrado e sempre che il Quirinale non decida altrimenti - a delle rischiosissime elezioni anticipate. Con la roulette di numeri incerti soprattutto al Senato. Ma se è davvero così, il problema sarà frenare il pressing leghista che, almeno dalle dichiarazioni, sembra puntare dritto alle urne. "Se Berlusconi dava retta a me e andava alle elezioni Fini, Casini, la sinistra... tutti quanti scomparivano", ha ribadito Bossi, che torna a puntare il dito su un aspetto del discorso di Fini: l'apertura su una modifica della legge elettorale.

Ancora più esplicito Roberto Cota: "Le parole di Fini pesano come macigni. Margini per ricostruire? La vedo difficile". Ed anche il solitamente ottimista Roberto Maroni vede poche alternative: "L'intervento di Fini apre tanti scenari: un immediato ricorso alle urne o un proseguimento della legislatura con un patto che però c'é già" Il sentiero per evitare il voto, dunque, è strettissimo. E passa per quei finiani 'moderati' ai quali Berlusconi più volte si è appellato. Anche perché il dialogo con l'Udc non sembra aver finora prodotto risultati concreti. Ma le speranze sono ridotte al lumicino. Tanto che anche i fedelissimi del Cavaliere iniziano a scalpitare: "Andiamo a votare a novembre o dicembre; a marzo sarebbe troppo tardi", taglia corto Francesco Giro. Mentre Daniele Capezzone ribadisce la richiesta di dimissioni dell'ex leader di An dallo scranno più alto di Montecitorio.

Fonte: ANSA


06/09/2010 22:34
 
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SUPERSAGGIO
Governo, la Lega pressa: "Si vada al voto"
Il Pdl: "Fini lasci la presidenza della Camera"

La maggioranza attacca l'ex leader di An dopo il suo discorso a Mirabello. Bonaiuti smorza: "Fatto non traumatico". L'ira dei colonnelli contro il loro ex segretario. Berlusconi vedrà oggi Bossi e domani lo stato maggiore del Pdl

ROMA - Tace, almeno ufficialmente, Silvio Berlusconi. Ma anche se il portavoce del premier, Paolo Bonaiuti lo definisce "un fatto non traumatico", dopo il discorso di Gianfranco Fini (che, secondo un sondaggio pubblicato da Generazione italia è piaciuto al 76% degli intervistati) la strada verso le elezioni anticipate è sempre più in discesa. Oggi il premier incontrerà Bossi e domani riunirà lo stato maggiore del Pdl. Tace Berlusconi ma parla la Lega, tirata in ballo più volte dal palco di Mirabello. "Si vada al voto anche domani, non c'è alternativa - dice il ministro dell'Interno Roberto Maroni - Mi pare evidente che sia rinata Alleanza Nazionale, un partito che assicura gli interessi del sud più che quelli della Padania che per Fini non esiste ma per noi esiste''. Più cauto il capogruppo al Senato del Pdl, Maurizio Gasparri: "Il Pdl è vivo e vegeto. Prima del voto bisogna verificare se esiste una maggioranza in parlamento".

''La situazione è difficile, perché è come se Fini avesse detto non voglio accordi con la Lega. Se Berlusconi dava retta a me, si andava a elezioni e non c'erano Fini né Casini, né la sinistra che scompariva'' dice Umberto Bossi che punta al voto e taglia corto: ''Il patto che ci interessa e' quello elettorale, non può essere diversamente, io non voglio una legge, una legge elettorale non ci interessa".

Secondo le indiscrezioni il pericolo più imminente che il Cavaliere continua ad intravede è quello di restare con il cerino in mano. Per questo sono in corso manovre per mettere i finiani spalle al muro. In sostanza, ragiona Berlusconi, se
rottura sarà, dovrà essere imputabile unicamente a Fini e su un argomento non attinente alle vicende personali del premier (ecco spiegato lo stop al processo breve), ma piuttosto a temi che interessino davvero gli elettori.

Lo scontro con i colonnelli. Dal palco Fini non li ha chiamati per nome. Ma quel passaggio velenoso sui colonnelli "pronti a cambiare padrone" aveva dei destinatari precisi: Gasparri, La Russa, Matteoli. Una volta fedelissimi del presidente della Camera, oggi sui primi avversari. ''I colonnelli hanno cambiato generale perché il generale ha cambiato bandiera. Abbiamo assistito al tentativo di mettere in mano il cerino a Berlusconi'' dice La Russa. Secco Gasparri che tira in ballo la polemica sulla casa di Montecarlo che fu di proprietà di An: ''L'etica prima di essere citata va praticata rispondendo ai giornali. E comunque meglio i colonnelli che i cognati''.

Pressing sulle dimissioni. Il Pdl insiste. Fini deve lasciare la poltrona di presidente della Camera. "Rifletta sulla congruità di essere leader di una formazione politica con il suo ruolo di presidente della Camera'' dice Fabrizio Cicchitto. Ma Italo Bocchino rimanda al mittente la richiesta: "Arrivano con dieci anni di ritardo - spiega il capogruppo alla Camera di Fli - perché nel 2001 votarono e votammo Casini, che era leader di partito, allo scranno più alto di Montecitorio. Quando gli conviene, come nel caso di Casini, non trovano nulla da obiettare, mentre quando gli conviene, come nel caso di Fini, usano strumentalmente il problema dell' incompatibilità".

L'opposizione. ''A un patto di legislatura non ci crede neanche Fini. Ha dichiarato la fine del Pdl certificando la crisi politica del centrodestra. In questi giorni assisteremo al gioco del cerino, ma la crisi politica e' conclamata'', dichiara Pierluigi Bersani. Anche Pier Ferdinando Casini, leader dell'Udc, invita Berlusconi ad andare in Parlamento: ''Una fase si è chiusa. L'Italia ha bisogno di una svolta e di una responsabilità nazionale ampia. Faccia appello anche all'opposizione''. Per Francesco Rutelli, leader dell'Api ''Fini resta in maggioranza, noi all'opposizione. Ma certamente oggi il nuovo polo centrista e' piu' vicino''. Polemico Antonio Di Pietro: ''Fini è uno e trino: vuol fare il capo dell'opposizione, ma vuole restare al governo. Se e' vero come e' vero che Berlusconi è un ricattatore e addirittura compra il consenso della maggioranza, allora perché resta?".

Di Pietro contro Udc e Pd. 'Se si vota domani mattina io andrei da solo perche' prima il Pd mi deve spiegare se la formula delle Marche (un'alleanza Pd-Udc, ndr) è un incidente di percorso del Pd o un investimento sul futuro" dice il leader Udc, Pier Ferdinando Casini. Che si vede arrivare addosso la seccata replica del dipietrista Donadi: "E' un campione del trasformismo". Ma proprio all'Idv arriva il messaggio del Pd in vista delle sempre più probabili elezioni anticipate: "Allenze? Solo se compatibili". Di Pietro, però, alza le spalle: "Prendiamo atto che il Pd e l'Idv hanno due visioni diverse dell'Italia, noi crediamo che sia un diritto costituzionale dei cittadini ribellarsi a un politico 2(Il presidente del Senato Renato Schifani ndr) che non è degno di rappresentarli come hanno fatto i simpatizzanti del Pd a Torino"

Fonte: Repubblica


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