Lo sfogo di Massimo: qui crolla la baracca
D'Alema mediatore d'attacco sulle pensioni: «Stavolta stiamo rischiando tutti e si va a casa»
Sulle pensioni c'è il rischio di «prendere la facciata», insieme al rischio di «perdere la faccia davanti al Paese e all'Europa». Ed è un avviso che Massimo D'Alema trasforma in un appello, rivolto al presidente del Consiglio e agli alleati di Rifondazione. Stavolta nessuno potrà rinfacciargli di aver complottato contro Romano Prodi. Semmai ieri il ministro degli Esteri si è adoperato nel tentativo di ricondurre tutto alla ragione. Lo «scalone » non è un santo Graal, sulla riforma della previdenza non si può scatenare una guerra di religione, tantomeno va interpretata come una sfida tra riformisti e massimalisti, «perché stavolta qui non rischia solo qualcuno, qui rischiamo tutti. Si sfascia la baracca, si va a casa». È la ferrea realtà delle cose che impone un compromesso, in questo senso a D'Alema forse non saranno nemmeno piaciute le conclusioni dai toni ultimativi del premier, che al vertice prima della riunione di governo ha parlato al ministro del Prc Paolo Ferrero perché Fausto Bertinotti intendesse. «Ci sono dei margini? Potete scostarvi dalla vostra ultima proposta? ». «No, Romano, per noi questa è l'ultima mediazione». E invece «bisogna trovare una soluzione», così si è espresso il vicepremier, ripetendo quanto aveva detto al leader della Cgil Guglielmo Epifani durante il dibattito di Serravalle Pistoiese: «I soldi per cancellare lo scalone non ci sono, si tratta di cifre insostenibili per il nostro sistema. E se anche quei soldi ci fossero, comunque andrebbero impegnati in altri settori nell'interesse del Paese». Nessun diktat, nessun desiderio di far ingoiare un rospo agli alleati del Prc, bensì l'invito a una visione più concreta, a un realismo «di sinistra ».
D'Alema vorrebbe rifuggire dalla logica celodurista che si sta facendo strada, e che ad un esponente del governo ricorda «la famosa scena del film con James Dean, Gioventù Bruciata, in cui il duello a chi frena per ultimo con l'auto, prima del burrone, si risolve in tragedia». Ecco a cosa somiglia la decisione di Prodi di presentare venerdì prossimo in Consiglio dei ministri l'ultima proposta, e lo show down rivela un deficit politico o forse il desiderio di forzare la mano per altri fini. D'Alema è consapevole che il governo è in una fase preagonica, e teme si arrivi all'accanimento terapeutico. Anche in questo caso constata la realtà delle cose. Ieri gli avversari del Polo, leggendo la sua intervista al Corriere, hanno notato il modo crudo in cui ha illustrato la posizione del Paese sullo scenario internazionale, paragonando l'Italia a «una provinciale di lusso che lotta per non retrocedere». Nel fronte berlusconiano resta il rammarico, unito a continui segnali di riconoscimento. «D'Alema è D'Alema», sostiene Donato Bruno, uno degli uomini più vicini al Cavaliere: «Lui è uno che non stacca mai. Anche quando è andato a Valencia a vedere le regate di Luna Rossa non ha smesso di lavorare». Se è vero che per il vicepremier c'è il rischio di «prendere la facciata» e di «perdere la faccia» sulle pensioni, e che su quel tema vanno concentrate tutte le energie, gli sarà parso ieri surreale l'estenuante dibattito in Consiglio sui costi della politica. E non solo perché il governo detiene il record di poltrone seggiole e sgabelli, dunque non ha il pedigree per impancarsi, ma anche perché così si liscia involontariamente il pelo all'antipolitica, che a D'Alema fa venire l'orticaria. Eppoi il clamoroso conflitto con il ministro della Difesa sulla nomina del nuovo capo di Stato Maggiore, «che con una sua intervista ci creò seri problemi internazionali », testimonia «la mancanza di collegialità» nel governo, è la dimostrazione dello scollamento. Nelle liti D'Alema vede «la tradizione autolesionistica del centrosinistra italiano, che è democratico, molto democratico, talmente democratico da rasentare la confusione». Aspetta che Walter Veltroni, almeno nel Pd, metta un po' d'ordine se ci riesce, e «rispetti i patti». C'è chi dice che tra i due siano riaffiorate vecchie ruggini, chi invece giura che non sia così, e che all'orecchio del ministro sia arrivata una battuta del sindaco di Roma: «Meno male che c'è Massimo a tenere alta la bandiera ». «Massimo», che pensa «a un futuro all'estero», potrebbe essere costretto a tardare, per sopraggiunti impegni in Italia.
Francesco Verderami
Corriere.it
07 luglio 2007